Umberto Romagnoli
Contrattazione e partecipazione
DOI: 10.1401/9788815374950/c15

6. La contrattazione di un «Piano» dell’impresa: verifica dei contenuti e indicazione delle prospettive evolutive della consultazione mista

Nel corso del 1966, «il discorso del piano» d’impresa come si esprime l’accordo del 20 dicembre 1965 è concretamente affrontato in sede di CM e in sede sindacale, traendo spunto da «un argomento che da tempo è oggetto di studio da parte della direzione: esso riguarda la riorganizzazione dei servizi di tessitura nel quadro della razionalizzazione del lavoro nello stabilimento di R.» [1]
. Per la prima volta, infatti, si tenta di «superare la frammentarietà delle trattative sindacali, per affrontare i problemi in una visione globale e complessiva, in riferimento al futuro assetto organizzativo dello stabilimento» [2]
.
Il discorso è necessariamente difficile, sia perché il «piano» è, rispettivamente, presentato dal management e considerato dal sindacato come un obiettivo in sé e per sé e non come un «parametro di valutazione della strategia dell’impresa» [3]
, sia perché il management è portato ad escludere dalla massa delle informazioni quelle che lo obbligherebbero ad assumere impegni giudicati incompatibili con l’autonomia imprenditoriale («il piano non espone tutti i provvedimenti che la direzione ritiene di adottare, ma solo quelli attinenti agli aspetti tecnico-organizzativi dello sviluppo dello stabilimento che [si reputa] hanno rilevanza sindacale») [4]
, sia perché il sinda{p. 140}cato, incapace di elaborare una propria soluzione alternativa, si batte contro il piano, non per un piano.
La vicenda, iniziata nello scorcio finale del 1965, si conclude nel gennaio 1967. Per la sua durata e per la fitta rete delle sue componenti essa meriterebbe, forse, di formare oggetto di un autonomo e separato case study. In questa sede, pertanto, mi limiterò a puntualizzarne i profili problematici che permettano di tentare, in via approssimativa, una verifica del modello teorico di relazioni industriali, tracciato nell’accordo del 1965, in connessione con le linee direttrici dell’esperienza precedente.
Dunque, l’attuazione del programma riorganizzativo progettato dalla direzione prevede, in rapida sintesi, la modifica o la scomparsa di mansioni tipiche dell’industria tessile, l’unificazione di alcune di esse in una nuova qualifica professionale («addetto ai servizi di tessitura»), la costituzione di un certo numero di speciali «squadre di carico dei telai» composte secondo una gerarchia di valori professionali largamente innovativa rispetto alla tradizione e, infine, una esuberanza di manodopera (in prevalenza, femminile).
La proposta direzionale appare suscettibile di far compiere alla CM «un salto di qualità», di fronte al quale però le stesse parti esitano, preoccupate di ridurre al massimo le rispettive responsabilità: ne è un sintomo l’interpretazione statica che del piano esse dimostrano di voler dare, considerandolo come «atto» e non come «processo». Le divisioni sindacali si approfondiscono, benché la ragione palese della discordia sia accuratamente depurata dell’unico consistente significato reale: che è strategico, e non tattico, perché la questione vera è se i sindacati siano disponibili ad avviare un dialogo su problemi di lungo periodo. Contrariamente alla CISL, infatti, CGIL e UIL si sforzano di far apparire la discussione sul piano come un mero «accidente», non come un coerente sviluppo delle relazioni industriali alla Bassetti e, quindi, come «momento» di una azione continuativa mirante a preparare un’offensiva gestionale da parte dei sindacati. L’occasione è giunta sotto forma di{p. 141} vertenza sulla istituzione della «squadra di carico», ma il contenuto politico della contesa è rivelato proprio dai tentativi di nasconderlo.
La direzione sa che il «suo» piano è tecnicamente valido, conforme alla moderna politica di gestione perseguita da anni in azienda e, perciò, necessariamente attuabile: soprattutto, sa che deve restare «suo», perché la formulazione di un piano rientra nel «suo mestiere», sull’esercizio del quale non intende subire altre interferenze al di fuori di quelle di origine contrattuale-sindacale, e, come tali, già previste o comunque prevedibili alla stessa stregua di un «costo» per la realizzazione del piano. Quando su di esso la rappresentanza del personale in sede di comitato consultivo esprimerà giudizi critici e suggerirà correttivi, la direzione si limiterà, in sostanza, a prenderne atto. In altri termini, non intende impegnarsi a fondo in questa sede, perché lo scontro deve avvenire ‒ una volta per tutte ‒ tra «portavoce responsabili», a livello sindacale. Ma, a questo livello, opera un sindacato che vuole conservare «le mani pulite» e, perciò, indotto a contestare, più o meno confusamente, il piano disinteressandosi dei dati d’ordine tecnico ed economico in base ai quali esso è stato formulato: un sindacato che contesterà il piano solo perché manifestazione di una politica di gestione capitalistica.
L’invito è raccolto. Infatti, CGIL, per motivi di principio, e UIL, a motivo essenzialmente della vincolatività del «mandato» ricevuto dagli associati [5]
, si rifiutano di «entrare nel merito del problema » e chiedono di esaminare una proposta alternativa, «su basi e condizioni diverse» [6]
, che però non chiariscono con apprezzabile precisione: in realtà, si chiede alla direzione la «rinuncia del progetto» [7]
. Il «punto di caduta» del nego{p. 142}ziato è oramai prossimo. Con lettera inviata a tutti e tre i sindacati il 9 dicembre, la direzione della Bassetti, constatato il «rifiuto» da parte degli stessi ad «entrare nel merito del problema» dichiara di «avocare a sé la responsabilità dell’attuazione del piano organizzativo» a partire dal 2 gennaio 1967, indipendentemente dal consenso dei sindacati. La minaccia irrigidisce le posizioni. Infatti, con un comunicato congiunto, i sindacati proclamano per il 2 gennaio uno sciopero di 24 ore che, nel pomeriggio di questo stesso giorno, assistenti, aiuto-assistenti e maestre tessitrici (cioè, le categorie più direttamente interessate) decideranno di continuare ad oltranza prevedendo di paralizzare, in breve, l’attività dello stabilimento. Allo sciopero compatto di questi gruppi di lavoratori, il 3 gennaio, la Bassetti reagisce disponendo che la produzione proseguirà fino ad esaurimento per gli operai presenti in turno, mentre gli operai dei turni successivi non saranno ammessi ai posti di lavoro. È l’annuncio di una serrata. Ma quando la tensione sindacale ha raggiunto il vertice più alto, subentra quello che comunemente è definito «spirito di accomodamento» traducibile, nel caso di specie, in termini di coerenza ad una prassi sindacale animata ‒ come testimonia l’esistenza di un sistema di CM a cui si presta adesione o si rivolgono critiche non risolutive ‒ dalla volontà di tutti i sindacati di farsi promotori o garanti di un tipo di rapporti non contraddittori rispetto alle esigenze di efficienza e di economicità della gestione. La direzione sospende la attuazione unilaterale del provvedimento, lo sciopero è interrotto, i sindacati si dichiarano disposti a contrattare. Dopo pochi giorni di trattative, l’accordo sarà pacificamente raggiunto.
Il 14 febbraio i segretari provinciali dei sindacati firmatari rilasciano alla stampa dichiarazioni di reciproco compiacimento per essere riusciti a discutere e contrattare preventivamente un organico piano tecnico-organizzativo [8]
. La soddisfazione è legittima. In effetti, che l’ac{p. 143}cordo abbia contenuti avanzati è fuori discussione: la direzione è vincolata all’attuazione del piano nei confronti del sindacato e secondo le modalità concordate in sede sindacale. Senonché, la direzione ha riaffermato il principio per cui, all’interno dell’impresa, il potere di gestione che essa detiene è di necessità autoritario, indivisibile ed esclusivo. E, per parte sua, il sindacato ha concorso a reintegrare il potere imprenditoriale nella sua totalità proprio perché aveva preteso di rifiutarlo in blocco sapendo a priori di non essere in grado di pro­durre altra conseguenza se non quella di rilegittimarlo attraverso il procedimento contrattuale che, di per sé, sottrae un potere, per eccellenza non-negoziabile, ad ogni contestazione effettiva [9]
. In altri termini, per quanto avanzata, la contrattazione collettiva svoltasi in Bassetti nel 1967 non ha strappato alla direzione se non quelle zone di potere, non le ha imposto se non quei limiti che alla direzione medesima erano necessari per riconfermare l’insostituibilità della sua funzione di comando. Infatti, il sindacato non ha dato una risposta d’alternativa, bensì di rifiuto: rifiuto che ha senso storico soltanto nel contesto di una lotta rivoluzionaria contro il sistema per l’abolizione del padronato e del lavoro dipendente. Senonché, questa formula non trova affatto applicazione, come è noto, nella pratica sindacale [10]
.
Nel quadro dei rapporti di potere preesistenti, il ricorso all’arma dello sciopero ha avuto un effetto semplicemente dimostrativo: quello di negare che il sindacato fosse in condizioni di inferiorità rispetto alla direzione. Ma la verità è che il conflitto è sorto proprio perché il sindacato era stato posto in condizioni di inferiorità dalla stessa iniziativa direzionale di affrontarlo su problemi che sfuggono al suo controllo. Preso in contropiede, infatti, il sindacato non ha potuto fare altro che battersi contro taluni effetti del piano, sviluppando una contestazione subalterna ed interna al piano stesso.
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Note
[1] In questi termini, il problema è presentato nell’ordine del giorno della riunione del SC dello stabilimento di R. il 22 ottobre 1965.
[2] Verbale del SC dello stabilimento di R. del 20 ottobre 1966.
[3] Ruffolo (La grande impresa, cit., p. 309) definisce strategia del­l’impresa quel «complesso coerente di politiche (degli investimenti, del finanziamento, degli approvvigionamenti, dell’occupazione, dei prezzi) dal quale si possa desumere un giudizio sintetico sul volume di risorse che (l’impresa) intende mobilitare, sulle direzioni lungo le quali pro­getta di impiegarle, sulle condizioni del loro impiego».
[4] Così si esprime un rappresentante della direzione (verbale del 20 ottobre 1966).
[5] La maggior parte dei lavoratori direttamente interessati al prov­vedimento direzionale aderisce a questa organizzazione sindacale.
[6] Documento redatto dalla segreteria provinciale della UILT-UIL il 13 dicembre 1966.
[7] Lettera inviata alla Bassetti dalla segreteria provinciale della FILTEA-CGIL il 13 dicembre 1966.
[8] V. «l’Unità» del 14 febbraio 1967.
[9] V. retro n. 4, Parte II.
[10] Mallet, La nuova classe, cit., p. 35; Momigliano, Sindacati, cit., p. 132 ss.