Umberto Romagnoli
Contrattazione e partecipazione
DOI: 10.1401/9788815374950/c11

2. L’atteggiamento della cisl e della uil

La storia economica, meglio di quanto possano le suggestioni evocate dalla mistica aziendale comunitaria, aiuta a comprendere le ragioni che stanno alla base della stipulazione dell’accordo del 14 maggio 1958.
Nel decennio 1950-1960, l’industria tessile italiana è in crisi. Per superarla, bisogna aumentare la competitività. Le imprese, quindi, sono incentivate ad intraprendere un’intensa azione ‒ di cui facili confronti internazionali già denunciavano, comunque, la necessità ‒ volta all’ammodernamento degli impianti, alla razionalizzazione dei procedimenti produttivi, alla riconversione tecnologica, alla ristrutturazione [1]
. Questo orientamento si riassume nella formula, ancora oggi attuale specialmente nel settore considerato, «più capitale, meno braccia» per cui la «pace aziendale» diviene un fattore essenziale allo sviluppo delle aziende, interessate a prevenire nella maggior quantità possibile, anziché a comporre a posteriori, i conflitti di lavoro.
Senonché, il sistema di cooperazione sul piano tecnico-produttivo, istituito tra impresa, lavoratori e sindacati dall’accordo del 14 maggio 1958, non è delimitabile entro i confini di una situazione peculiare e transitoria, come testimoniano le esperienze sindacali di paesi industrialmente più progrediti [2]
. Storicamente, esso si configura{p. 112} come una delle possibili soluzioni escogitate dall’autonomia privato-collettiva per un problema destinato ad assumere un carattere permanente all’interno della moderna organizzazione dei rapporti di produzione e delle forze produttive, nella misura in cui sollecita il sindacato ad adeguarsi al nuovo tipo di organizzazione capitalistica per poter continuare a svolgervi la necessaria funzione di stabilizzazione dinamica [3]
. D’altra parte, la tematica dei premi aziendali collegati alla produttività e quella dei comitati misti si inscrivono in questo contesto (in connessione diretta, cioè, con la adozione da parte del management di nuove tecniche gestionali) ad opera principalmente delle elaborazioni teoriche compiute in seno agli uffici-studi di quei sindacati operai per i quali il progresso tecnologico «si è tradotto spesso in una spinta ulteriore verso la nuova posizione partecipazionistica nei rapporti di lavoro» [4]
. Ed infatti, l’accordo 14 maggio 1958 istituisce un premio collettivo che punta ad una modifica dello status del lavoratore nell’azienda in quanto gli concede il rango e la dignità di «associato» a quei risultati economici dell’impresa che vengono considerati come coronamento di un’attività tecnico-organizzativa svolta in collaborazione tra imprenditore e dipendenti. «A noi l’accordo del ’58 interessa», dirà un qualificato esponente della CISL, «nella misura in cui noi riusciamo come organizzazione sindacale a fare dei lavoratori delle persone che nella fabbrica sappiano il ruolo che devono avere (...) per essere “qualcuno” in quanto portatore di idee» [5]
. Pertanto, una volta posta in ombra la nozione classica di profitto imprenditoriale [6]
, il comitato di CM,{p. 113} nel frattempo costituito, è legittimato ad affrontare il tema «innovazioni tecniche ed organizzative» in nome di una «filosofia produttivistica» che il sindacato ha accettato per superare l’impatto di fronte al quale era venuto a trovarsi: una secca perdita di potere causata dall’accelerato trend del progresso tecnico in Bassetti che gli impedisce di esercitare un valido condizionamento contrattuale-conflittuale dello stesso sul terreno ex ante delle scelte decisionali. Dove la politica delle soluzioni di forza si dimostra inadeguata, potrà e dovrà riuscire quella che in Francia era definita la «politique paritaire», inaugurata alcuni anni prima proprio nel settore tessile, consistente in una sistematica «codecisione» tra imprenditori e organizzazioni sindacali diretta a moderare la resistenza degli operai agli incrementi della produttività, realizzabili attraverso la riduzione dei costi di produzione, nella misura in cui questa incideva sui livelli occupazionali [7]
. In altri termini, agli organi di CM è affidato in forma istituzionale il compito di attuare un condizionamento «tecnico» di tipo partecipativo, mentre i sindacati si riservano di sviluppare un’azione contrattuale di contenimento delle possibili ripercussioni negative sui lavoratori delle innovazioni tecniche e organizzative.
Una ripartizione delle competenze tra sindacati e comitati consultivi, questa, che non implica, almeno nelle intenzioni, una vera e propria delega di poteri.
Nell’equivoco incorrono sia la CISL che la UIL, aggrappate alla distinzione, quanto mai artificiale tra «rivendicazionismo» e «partecipazione». Infatti, vale forse la pena ripetere che «nella fase preparatoria come nella fase applicativa delle decisioni, la partecipazione consiste{p. 114} nel riconoscere a coloro che debbono eseguirle il diritto di discutere l’opportunità delle misure progettate. Pertanto, la partecipazione tende a limitare i poteri di direzione, il cui esercizio finisce per essere sottoposto alla ricerca di un accordo preventivo» [8]
. In origine, addirittura, il sindacato non riesce neppure a concepire gli organi di CM come strumenti politici di allargamento della propria sfera di interventi in azienda, ma si accontenta di considerarli come una specie di «casse di risonanza» per accreditare tra i lavoratori un giudizio positivo sulla funzione e sugli scopi della produttività [9]
. La verità è che la CISL e la UIL non riescono a liberarsi da una lunga tradizione, tipica del movimento operaio europeo, per cui la forza del sindacato si misura con la capacità di mobilitare i lavoratori alla lotta e la verifica del suo peso non può essere data se non dal conflitto diretto a sostenere rivendicazioni di tipo economico-quantitativo [10]
. Dovranno trascorrere molti anni prima di riconoscere «la natura sindacale e contrattuale del fatto consultivo» nonché di «accettare» (e far accettare) che «e richieste di consultazione preventiva sulle decisioni organizzative si pongano come legittime rivendicazioni di nuovo tipo» [11]
. Medio tempore, un collegamento tra CM e politica sindacale non si dà in termini organici ‒ se si eccettua l’amministrazione «bilaterale» del premio di produttività secondo la formula concordata [12]
‒ bensì secondo la{p. 115} astuzia del momento. Cosicché, quando l’elementare logica dell’opportunismo tattico riscompare per intervalli di tempo più o meno lunghi, alla tesi della CGIL secondo la quale la CM non è che una forma di asservimento dei lavoratori alle ideologie neo-capitalistiche non si troverà modo di replicare, da parte degli altri sindacati, se non sforzandosi di farla apparire come una semplice esercitazione intellettualistica disancorata dalla realtà. Il che, almeno in parte, è esatto, ma solo in quanto la CM si estrinseca nel quadro sconnesso di una obiettiva insufficienza della politica di quei sindacati di fronte alla nuova problematica di una azienda moderna.
Bisogna tuttavia sottolineare che la revisione dei propri compiti istituzionali è stata ritardata dalla esigenza, vivamente sentita dalla FILTA-CISL e dalla UILT-UIL, di ricreare un certo grado di unità di azione, spezzata dall’accordo, nel ’58, con la FILTEA-CGIL.
Note
[1] Sulle ricorrenti fasi depressive che caratterizzano l’andamento della produzione tessile italiana dall’inizio del secolo, la letteratura è vasta, anche se di valore diseguale. Per tutti, cfr. Morandi, Storia della grande industria in Italia (rist.), Torino, 1966, p. 215 ss. e da ult. Caizzi, Storia dell’industria italiana dal XVIII secolo ai giorni nostri, Torino, 1965, p. 544 ss.
[2] Per analoghe esperienze aziendali statunitensi, v. ampi riferimenti in Golden e Parker, Fattori di pace sindacale negli Stati Uniti, trad. it., Roma, 1960, spec. p. 407 ss. (sul c.d. piano Scanlon) e spec. il pregevole studio di Benhamou-Hirtz, Les relations collectives dans la sidérurgie américaine, Paris, 1966, pp. 284-299, relativamente al piano della Kaiser Steel Corporation entrato in vigore nel marzo 1963.
[3] La valutazione storico-politica è singolarmente comune a scrittori aventi diversa (addirittura, opposta) formazione culturale, come Galbraith, Il nuovo Stato, cit., pp. 243-246 e Tronti, Operai e capitale, Torino, 1966, pp. 207, 250.
[4] Momigliano, Sindacati, progresso tecnico, programmazione econo­mica, cit., p. 49 ss.
[5] Verbale della riunione sindacale del 6 settembre 1965.
[6] Pizzorno, Comunità, cit., pp. 24 s., 141 ss.
[7] Per questa esperienza francese a livello di industria v. spec. Sellier, Strategie de la lutte sociale, Paris, 1961, p. 325 ss. Ad essa è ricollegabile quella imperniata sul funzionamento (dal 1960) di un «comitato paritetico di ricerca sulle relazioni umane» nell’àmbito del­l’industria siderurgica nord-americana, che sembra aver contribuito effi­cacemente allo sviluppo ulteriore della contrattazione collettiva e, so­prattutto, alla distensione delle relazioni sindacali che il grande scio­pero dei siderurgici del 1959 aveva gravemente deteriorate. (Vedi Benhamou-Hirtz, Les relations, cit., p. 217 ss., spec. p. 272 ss.).
[8] Sellier, Strategie, cit., p. 315. V. retro, Parte I, nn. 6-7.
[9] V. retro, Parte I, n. 7.
[10] Tra i sindacalisti con i quali ho avuto la possibilità di pormi in contatto nel corso dell’indagine, quello che mi è sembrato meno debol­mente sensibilizzato al problema è l’attuale segretario provinciale della UILT-UIL.
[11] Accordo sindacale del 20 dicembre 1965.
[12] In sede di rinnovo dell’accordo 22 gennaio 1959 istitutivo del premio, le parti hanno sostituito in epoca recente (15 febbraio 1966) al criterio di calcolo consistente nel riferimento alla produttività fisica per unità lavorativa quello del valore aggiunto «quale criterio di de­terminazione della produttività globale dell’azienda». Con ciò, «le parti si propongono (inter alia) di ampliare l’area di azione della CM, fornendo ai comitati, e attraverso essi ai lavoratori, più vaste tema­tiche e nuove occasioni di progressiva conoscenza e partecipazione ai problemi ed alle scelte aziendali».