Mita Marra
Connessioni virtuose
DOI: 10.1401/9788815371126/p2

Introduzione

È noto che i processi di innovazione e di apprendimento si dispiegano in modo non uniforme nello spazio, all’interno di centri comunemente considerati come ecosistemi dell’innovazione [1]
. Insieme alle capacità tecnologiche, alle strutture di mercato, all’imprenditorialità, alle infrastrutture, ai servizi e al capitale umano, la presenza dell’università è decisiva nell’ambito degli ecosistemi dell’innovazione [2]
. L’università opera al di là dei tradizionali compiti di didattica e di ricerca e, nella sua terza missione [3]
, assume una funzione imprenditoriale a favore dello sviluppo territoriale. Le imprese svolgono un ruolo educativo, impegnandosi a formare studenti e lavoratori al fine di sviluppare le competenze necessarie ai processi di produzione avanzata. Le {p. 14}interdipendenze che si generano tra chi crea e chi utilizza la conoscenza producono valore nelle interazioni dinamiche, localizzate e reiterate nel tempo [4]
.
Diversi filoni di studi esaminano i processi di innovazione trainati dall’università. Si annoverano i modelli di innovazione territoriale, gli studi sulle economie regionali, le analisi aziendali e le ricerche nel campo delle politiche sociali sull’attivazione e sull’investimento sociale. Nonostante si sviluppino lungo linee di pensiero e di indagine separate, le letterature appena menzionate – e le risultanze cui pervengono – presentano numerosi punti di interazione e di potenziale integrazione, ma anche questioni critiche ancora aperte.
I modelli di innovazione a tripla elica (o a più eliche) analizzano le relazioni tra l’università, le imprese e le agenzie di governo regionale al fine di innovare prodotti e processi produttivi, assetti organizzativi e istituzionali. La tripla elica rappresenta le relazioni di cooperazione scientifica e tecnologica tra le organizzazioni produttive, politiche e universitarie e ha trovato ampia adesione tra gli operatori dello sviluppo territoriale. I modelli di innovazione più recenti ampliano la platea degli attori coinvolti nelle collaborazioni. L’università interagisce con le banche, le fondazioni e le organizzazioni del terzo settore al fine di generare e trasformare la conoscenza in reti che co-creano valore, non unicamente per fini commerciali. L’analisi si concentra sulle strutture e sulle relazioni di governance tese a formulare politiche e investimenti per l’innovazione tecnologica, come ad esempio, le strategie di Smart Specialization della Commissione {p. 15}europea [5]
. Le analisi disponibili lasciano, però, sullo sfondo i processi organizzativi e cognitivi all’origine della cooperazione e le performance innovative richiedono un approfondimento sulle specializzazioni produttive, variabili a seconda dei contesti.
Gli studi di economia regionale esaminano l’innovazione delle imprese nelle regioni più o meno competitive [6]
e valutano l’efficacia delle università, mettendo in discussione le metriche tradizionali sull’intensità e/o sulla qualità della ricerca scientifica [7]
. Nelle regioni più avanzate, le imprese beneficiano delle attività di ricerca e sviluppo (R&S) realizzate in collaborazione con l’università o altri agenti tecnologici e scientifici [8]
. Diversamente nelle regioni periferiche o meno avanzate sul piano produttivo [9]
, l’innovazione aziendale si sviluppa nelle relazioni con i clienti, i fornitori e i concorrenti, nell’interazione tacita o nelle scelte dettate dalle esigenze del mercato [10]
. In tali circostanze, l’università esercita una limitata capacità di orientare e sostenere i processi di creazione della conoscenza a vantaggio delle piccole e medie imprese (PMI) {p. 16}del territorio [11]
. Il tema che rimane ancora poco esplorato è se l’università possa accelerare la trasformazione digitale, venendo incontro alle esigenze di innovazione delle PMI, anche in contesti meno tecnologicamente avanzati.
In continuità con la tradizione degli studi sui distretti industriali [12]
, le analisi degli ecosistemi delle imprese esaminano il complesso fenomeno dell’imprenditorialità e le interdipendenze tra l’università e le organizzazioni produttive. Richiamando il noto economista Schumpeter, si enfatizzano le capacità dell’imprenditore di sfruttare le opportunità derivanti dalla conoscenza. Il costrutto dell’«ecosistema» sottolinea l’importanza del capitale cognitivo e della partecipazione degli attori che creano, esplorano e utilizzano una base di conoscenza condivisa per innovare prodotti e processi [13]
. Gli ecosistemi popolati dalle imprese creano valore nelle fasi di invenzione e commercializzazione della conoscenza. Negli ecosistemi in cui interviene l’università, i partecipanti ricercano ed esplorano conoscenze tecno-scientifiche senza uno scopo di immediato sfruttamento com{p. 17}merciale. I cosiddetti ecosistemi della conoscenza [14]
operano in contesti precompetitivi, in cui la prossimità alle università favorisce la circolazione delle idee a vantaggio degli attori coinvolti [15]
. Si presume che gli ecosistemi della conoscenza operino come fasi intermedie nello sviluppo degli ecosistemi imprenditoriali. Non si indaga adeguatamente, però, come le imprese internalizzano le conoscenze esterne [16]
– acquisite nelle relazioni con l’università – e quali effetti scaturiscono dalle collaborazioni scientifiche.
Nel campo delle politiche sociali, le analisi si concentrano sul ruolo delle università come «spazi situati» di apprendimento e contaminazione tra discipline e territori. La ricerca, l’insegnamento e la terza missione si iscrivono nel paradigma di emancipazione sociale e di crescita civile e democratica [17]
. L’università è luogo di relazione in cui poter superare le segregazioni che separano individui, gruppi, territori, regioni e paesi del Nord e del Sud del mondo [18]
. Le strutture sociali dello spazio non sono semplici contenitori in cui si svolgono le collaborazioni tra l’università e le imprese. Il contesto diventa un elemento costitutivo delle interazioni scientifiche e produttive che risentono delle disuguaglianze esistenti tra le regioni, all’interno delle regioni
{p. 18}e tra le diverse aree del contesto urbano [19]
. La lente sociale degli studi appena richiamati interpreta le iniziative di innovazione intraprese dalle università come investimenti tesi ad elevare il livello di preparazione tecnica e imprenditoriale delle nuove generazioni. La finalità consiste nel contrastare le disuguaglianze sociali, aumentando la probabilità di creare lavoro qualificato nelle fasce occupazionali a più alto reddito. Si tratta di politiche di investimento sociale [20]
da valutare in termini di creazione di nuovi posti di lavoro e imprese, ma anche in termini di crescita del capitale umano e di sviluppo regionale.
Note
[1] P. Cooke, The Virtues of Variety in Regional Innovation Systems and Entrepreneurial Ecosystems, in «Journal of Open Innovation», 2, 13, 2016, doi: 10.1186/s40852-016-0036-x.
[2] D. Audretsch e M. Feldman, R&D Spillovers and the Geography of Innovation and Production, in «The American Economic Review», 86, 3, 1996, pp. 630-640; M. Fritsch e V. Slavtchev, Universities and Innovation in Space, in «Industry and Innovation», 14, 2, 2007, pp. 201-218, doi: 10.1080/13662710701253466.
[3] Per «terza missione» delle università si intende l’insieme delle attività con le quali gli atenei interagiscono direttamente con la società e il proprio territorio di riferimento, sia attraverso azioni di valorizzazione economica della conoscenza che più in generale attraverso attività ed eventi di ordine culturale, sociale e di divulgazione della scienza. Secondo le linee guida dell’Agenzia nazionale per la valutazione dell’università e della ricerca (Anvur), la terza missione, a differenza delle attività di ricerca e didattica che sono dovere istituzionale di ogni singolo docente e ricercatore, è una responsabilità istituzionale a cui ogni ateneo risponde in modo differenziato, in funzione delle proprie specificità e delle proprie aree disciplinari. Cfr. Linee guida per la compilazione della Scheda Unica Annuale Terza Missione e Impatto Sociale SUA-TM/IS per le Università, Anvur, 2018.
[4] B. Clarysse, M. Wright, J. Bruneel e A. Mahajan, Creating Value in Ecosystems: Crossing the Chasm between Knowledge and Business Ecosystems, in «Research Policy», 43, 2014, pp. 1164-1176; K. Järvi, A. Almpanopoulou e P. Ritala, Organization of Knowledge Ecosystems: Prefigurative and Partial Forms, in «Research Policy», 47, 8, 2018, pp. 1523-1537, https://doi.org/10.1016/j.respol.2018.05.007. Cfr. SIAMPI, Social Impact Assessment Methods for Research and Funding Instruments through the Study of Productive Interactions between Science and Society, Final Report, 2011.
[5] La Smart Specialization è un pilastro della politica di coesione della Commissione europea che punta sulle regioni che hanno un vantaggio competitivo o presentano le potenzialità per generare una crescita basata sulla conoscenza. Cfr. European Commission, Regional Innovation Scoreboard 2021.
[6] Clarysse, Wright, Bruneel e Mahajan, Creating Value in Ecosystems, cit.; Järvi, Almpanopoulou e Ritala, Organization of Knowledge Ecosystems, cit.; K. Atta-Owusu, F. Dahl e A. Rodríguez-Pose, What Drives University-Industry Collaboration: Research Excellence or Firm Collaboration Strategy?, in «Technological Forecasting and Social Change», 173, 2021.
[7] Fritsch e Slavtchev, Universities and Innovation in Space, cit.
[8] A. Rodríguez-Pose e C. Wilkie, Innovating in Less Developed Regions: What Drives Patenting in the Lagging Regions of Europe and North America, in «Growth and Change», 50, 1, 2019, pp. 4-37.
[9] A causa dell’inefficienza generale e dei minori rendimenti della ricerca finanziata dallo Stato, cfr. Rodríguez-Pose e Wilkie, Innovating in Less Developed Regions, cit.
[10] H. Pinto, E. Uyarra e M.F. Esquinas, University Roles in a Peripheral Southern European Region, in P. Bennetworth (a cura di), Universities and Regional Economic Development. Engaging with the Periphery, London, Routledge, 2018.
[11] Permangono, tuttavia, notevoli variazioni i) tra imprese, ii) università e attività di ricerca e sviluppo, iii) ecosistemi aziendali e della conoscenza e iv) regioni innovative o in ritardo di sviluppo. Anche all’interno di una regione moderatamente innovativa, per le start-up, i vantaggi dalla localizzazione in prossimità delle università o di enti pubblici di ricerca emergono dal flusso di conoscenze scientifiche e tacite che le imprese condividono, anche per via della mobilità del personale (Clarysse, Wright, Bruneel e Mahajan, Creating Value in Ecosystems, cit.). A differenza degli ecosistemi aziendali, le aziende che partecipano agli ecosistemi della conoscenza possono utilizzare le conoscenze disponibili nella regione e creare le condizioni per lo sfruttamento futuro e l’appropriazione del valore associato a tale conoscenza. Cfr. M.D. Parrilli e D. Radicic, STI and DUI Innovation Modes in Micro-, small-, Medium- and Large-sized Firms: Distinctive Patterns across Europe and the U.S., in «European Planning Studies», 29, 2, 2021, pp. 346-368 e anche M.D. Parrilli, R. Dahl Fitjar e A. Rodriguez-Pose (a cura di), Innovation Drivers and Regional Innovation Strategies, London, Routledge, 2016.
[12] G. Becattini, Distretti industriali e made in Italy. Le basi socioculturali del nostro sviluppo economico, Torino, Bollati Boringhieri, 1998.
[13] Clarysse, Wright, Bruneel e Mahajan, Creating Value in Ecosystems, cit.; cfr. anche J. Robertson, Competition in Knowledge Ecosystems: A Theory Elaboration Approach Using a Case Study, in «Sustainability», 12, 18, 2020, p. 7372, https://doi.org/10.3390/su12187372.
[14] K. Valkokari, Business, Innovation, and Knowledge Ecosystems: How They Differ and How to Survive and Thrive within Them, in «Technology Innovation Management Review», 5, 8, 2015, pp. 17-24; B. Dattée, O. Alexy e E. Autio, Maneuvering in Poor Visibility: How Firms Play the Ecosystem Game when Uncertainty is High, in «Academy of Management Journal», 61, 2, 2018.
[15] Clarysse, Wright, Bruneel e Mahajan, Creating Value in Ecosystems, cit.
[16] I. Nonaka, A Dynamic Theory of Organizational Knowledge Creation, in «Organization Science», 5, 1, 1994, pp. 14-37.
[17] Cfr. Forum delle diseguaglianze e delle diversità, Promuovere la giustizia sociale nelle missioni delle Università italiane, 2021, https://www.forumdisuguaglianzediversita.org/wp-content/uploads/2019/03/proposta-n-4.x74988.x38612.pdf.
[18] E. Wenger-Trayner e B. Wenger-Trayner, Learning to Make a Difference: Value Creation in Social Learning Spaces, Cambridge, Cambridge University Press, 2020; cfr. anche A. Appadurai, The Future as Culture Fact: Essays on the Global Condition, New York, Verso Books, 2013.
[19] J.-P. Addie, M. Angrisani e S. De Falco, University-led Innovation in and for Peripheral Urban Areas: New Approaches in Naples, Italy and Newark, NJ, US, in «European Planning Studies», 26, 6, 2018, pp. 1181-1201.
[20] A. Hemmeriijck, The Uses of Social Investment, Oxford, Oxford University Press, 2019.