Mita Marra
Connessioni virtuose
DOI: 10.1401/9788815371126/c4

Capitolo quarto Dal problem solving al policy making

1. Lo stile decisionale

Esiste uno «stile decisionale» nel trattare i problemi dell’innovazione? Avendo studiato a lungo lo sviluppo della nanotecnologia nell’area di Albany – la capitale dello stato di New York – Charles W. Wessner, esperto di politica di innovazione della Georgetown University, attribuisce notevole importanza al pragmatismo degli ingegneri – una tipologia di scienziati sui generis rispetto agli studiosi versati in altre discipline [1]
. Perché questo non sia semplicemente uno stereotipo, l’analisi della politica di innovazione del polo tecnologico di San Giovanni fa ricorso al concetto di stile decisionale – vale a dire, le modalità in cui si apprende a riconoscere e ad affrontare i problemi al fine di escogitare soluzioni appropriate.
Il tentativo di definire uno stile decisionale è da intendersi come la ricerca dei modi di comportamento dei responsabili delle scelte o delle tecniche di soluzione dei problemi tipici o probabili di un ecosistema dell’innovazione basato sulla conoscenza [2]
. L’analisi si concentra sulle modalità in cui si affrontano problemi nuovi a partire dal momento in cui emergono per la prima volta. Si tratta di ricostruire come i problemi d’azione economico-politica nel campo dell’innovazione si stagliano al centro della scena o si eclissano dall’agenda politica. In ultima analisi, la questione in gioco è il grado di autonomia di cui gode l’università – come, cioè, un’istituzione di cultura interpreta la propria missione {p. 90}scientifica, sociale e democratica in collaborazione con gli attori internazionali e locali, in contesti caratterizzati da vincoli strutturali, segregazioni spaziali e disuguaglianze socioeconomiche e politiche [3]
.
Come già accennato, nei modelli della tripla (ma anche quadrupla o quintupla) elica [4]
che spiegano l’emergere dell’innovazione a livello regionale, l’analisi della governance punta l’attenzione sulle relazioni che intercorrono tra l’università, le istituzioni di governo e le imprese. Le relazioni in esame si sviluppano all’interno di una fitta trama socio-politico-istituzionale in cui la platea degli attori coinvolti può includere anche altri stakeholders, come le fondazioni, i centri di ricerca, le banche e tutte le altre organizzazioni pubbliche e private rispetto alle quali l’università assume un ruolo catalizzatore [5]
.
Nelle variabili configurazioni degli attori locali, le analisi di rete permettono di esplorare il contesto in cui emergono cooperazione e innovazione; e tuttavia, le analisi in questione, sovente, presentano un livello di astrazione troppo elevato. Non consentono di cogliere le differenze che sussistono tra le pratiche che emergono come reazione a problemi nuovi e le scelte intenzionali che rispondono a una politica e a una pianificazione strategica. Entrambe le modalità di decisione sono complementari e radicate nella pratica e offrono lezioni utili per una politica dell’innovazione che, adattandosi al contesto, si propone di trasformarlo, anche in maniera incisiva.
Sulla scorta delle osservazioni e delle interviste condotte, l’analisi che segue ricostruisce l’esperienza del polo tecnolo{p. 91}gico di San Giovanni, focalizzando l’attenzione sulle relazioni che l’università intrattiene con i soggetti politico-istituzionali regionali e con i partner delle accademie. Lo stile decisionale dei responsabili dell’ecosistema emerge tanto nelle scelte strategiche finalizzate a realizzare i cambiamenti desiderati quanto nelle risposte estemporanee ai problemi imprevisti che si sono profilati all’orizzonte. La tesi è che la politica del polo tecnologico di San Giovanni contiene in nuce una vera e propria innovazione della governance universitaria.

2. Lontano dalla ribalta, l’iniziativa dei decisori

Considerando le relazioni con le imprese partner e l’organo politico regionale, le modalità di assunzione delle decisioni da parte dell’università superano la tradizione autoreferenziale con cui normalmente si rappresenta l’agire accademico. Nei confronti delle istituzioni di governo regionale che finanziano le infrastrutture del campus, l’università svolge un ruolo a un tempo di iniziativa e di garanzia: contribuisce al piano di rigenerazione urbana del quartiere [6]
, assicura investimenti infrastrutturali compatibili con le finalità dei programmi operativi regionali e dimostra capacità di assorbimento e rendicontazione della spesa, in linea con le procedure e i regolamenti comunitari [7]
. Considerando che gli interventi infrastrutturali impiegano in Italia tempi di realizzazione incerti, normalmente lunghi, il risultato è significativo. {p. 92}
Come già esaminato nel capitolo 2, la pianificazione degli investimenti di riqualificazione urbana, la gestione degli appalti e delle forniture e la rendicontazione della spesa, iniziate nel 2008, sono portate parzialmente a compimento nel 2013 e nel 2015. Il cantiere situato nell’ex stabilimento Cirio si estende ulteriormente a est della città metropolitana di Napoli, in un’area tuttora in corso di rigenerazione, grazie anche agli ulteriori investimenti intervenuti e pianificati [8]
.
Nella prima fase di cantiere (2008-2013), la costruzione del polo attraversa un periodo in cui la politica nazionale e regionale affronta la severa crisi finanziaria e del debito sovrano: anni di austerità che compromettono i rapporti tra centro e territorio con i tagli lineari dei trasferimenti agli enti locali. I problemi che si sarebbero profilati di lì a poco, con l’acuirsi delle disuguaglianze socioeconomiche all’interno delle regioni e delle città (specialmente durante la pandemia), non erano ancora emersi in maniera pressante e preoccupante e la capacità di utilizzare i fondi europei da parte dell’università, senza attingere alle esigue risorse nazionali, permette al gruppo dirigente di poter fruire di spazi di manovra poco politicizzati [9]
. Complice la presenza nel governo regionale di docenti universitari in qualità di tecnici prestatisi alla politica [10]
, il finanziamento delle infrastrutture {p. 93}attraversa due cicli di programmazione dei fondi europei e il cantiere procede a tappe forzate per non perdere le uniche risorse su cui il territorio poteva contare.
L’università coglie e affronta la sfida di integrare culture organizzative diverse, procedure formali e prassi amministrative non necessariamente compatibili l’una con l’altra. Col senno di poi, la sfida non era affatto facile: si dimostrerà facile grazie alla competenza dimostrata sul piano amministrativo, nella spesa e nella rendicontazione dei fondi comunitari e nella capacità di aderire alle regole di programmazione europea, perseguendo una visione di modernizzazione dell’istituzione universitaria e di trasformazione del territorio.
Con l’avvio dell’Apple Developer Academy, il polo di San Giovanni si sperimenta nella didattica innovativa rispetto ai corsi di studio tradizionali, dimostrando capacità di organizzazione, gestione ed erogazione dei servizi a monte e a valle della formazione. Nasce l’esigenza di un’unità di raccordo per definire ruoli e assegnare funzioni di servizio e coordinamento (il Cesma). Grazie alla coesione interna alla leadership universitaria, si affronta con successo la crisi di crescita, delegando potere decisionale appannaggio di un gruppo ristretto di docenti – di fatto, un triumvirato, presto allargato ad un quadrumvirato – che, pur con stili diversi di direzione, dà vita a un’università che dialoga con gli attori locali e globali, alla ricerca di nuove collaborazioni.
La didattica innovativa con le multinazionali tecnologiche prende il largo in meno di cinque anni (2016-2020) e promette non solo di crescere ulteriormente, ma di pervadere la didattica tradizionale con una pedagogia sempre più attenta alle esigenze dei discenti. Il riconoscimento della Commissione europea della buona pratica nella spesa dei fondi strutturali, dell’innovatività della didattica digitale inclusiva nonché l’attenzione dell’OCSE ai processi di collaborazione con le imprese sviluppati con le accademie, suggellano un lavoro scientifico e didattico di lungo corso, riconosciuto a livello europeo e internazionale a beneficio del territorio [11]
.
{p. 94}
Note
[1] C.W. Wessner e T.R. Howell, Regional Renaissance. How New York’s Capital Region Became a Nanotechnology Powerhouse, Springer, 2020.
[2] Sullo stile decisionale cfr. anche A.O. Hirschman, Come far passare le riforme, Bologna, Il Mulino, 1990.
[3] P. Bennetworth (a cura di), Universities and Regional Economic Development. Engaging with the Periphery, London, Routledge, 2018.
[4] H. Etzkowitz e L. Leydesdorff, The Dynamics of Innovation: From National Systems and «Mode 2» to a Triple Helix of University-Industry-Government Relations, in «Research Policy», 29, 2, 2000, pp. 109-123.
[5] E.G. Carayannis, E. Grigoroudis, D.F. Campbell, D. Meissner e D. Stamati, The Ecosystem as Helix: An Exploratory Theory-building Study of Regional Competitive Entrepreneurial Ecosystems as Quadruple/quintuple Helix Innovation Models, in «R&D Management», 48, 1, 2018, pp. 148-162.
[6] G. Dispoto, La sostenibilità ambientale e le previsioni del nuovo piano regolatore generale: progetti e piani urbanistici attuativi nella zona orientale, in A.I. Amirante, Effetto città stare vs transitare: la riqualificazione dell’area dismessa di Napoli est, Firenze, Alinea, 2009.
[7] Numerose analisi di economia regionale sostengono che le regioni periferiche, in particolare del Sud Europa, sono caratterizzate da debolezza istituzionale e organizzativa, mancanza di massa critica e capacità di assorbimento della spesa che non permettono di catturare e diversificare il valore prodotto a livello regionale. Cfr. C. Incaltarau, G.C. Pascariu e N.C. Surubaru, Evaluating the Determinants of EU Funds Absorption across Old and New Member States – the Role of Administrative Capacity and Political Governance, in «Journal of Common Market Studies», 58, 4, July 2020, pp. 941-961.
[8] Secondo le interviste condotte, nel 2023 si completa la riqualificazione dell’intera area dell’ex opificio Cirio con la ristrutturazione del Palazzo dell’Innovazione, centro di attrazione di gruppi internazionali di ricerca innovativa e l’ulteriore costruzione dei moduli in cui si insedieranno gli istituti del CNR che operano nel campo dei materiali avanzati in linea con l’accordo di programma tra CNR, Università di Napoli «Federico II» e Regione Campania.
[9] Cfr. G. Viesti, Centri e periferie. Italia, Europa, Mezzogiorno dal XX al XXI secolo, Roma-Bari, Laterza, 2021.
[10] Il progetto che nasce con il rettore Massimo Marrelli sarà vigorosamente promosso con l’accordo siglato con il presidente del CNR, prof. Gino Nicolais, e la Regione Campania, ove il vicepresidente della Giunta regionale nonché assessore alla ricerca è il prof. Guido Trombetti, già rettore della «Federico II». Nello stesso periodo, il prof. Edoardo Cosenza assume l’incarico di assessore regionale ai Lavori Pubblici. Informazioni basate su interviste. Cfr. inoltre il sito web ufficiale della Regione Campania: http://regione.campania.it/it/printable/universita-polo-s-giovanni-siglato-accordo-fra-regione-federico-ii-e-cnr.
[11] Nel 2019 la Commissione europea riconosce la buona pratica di spesa dei fondi strutturali e nel 2020 con il sistema delle academy è selezionato tra i progetti finalisti al premio Regiostars. Analogamente l’OCSE include l’esperienza dell’Università di Napoli tra i casi-studio delle istituzioni universitarie più innovative a livello internazionale. Cfr. M. Marra, Digital Academies for Inclusive Learning, case study prepared for OECD-European Commission HEInnovate Program, 2020, https://heinnovate.eu/sites/default/files/Digital%20Academies%20for%20Inclusive%20Learning_University%20of%20Naples_0.pdf.