Damiano Previtali
La scuola mediterranea
DOI: 10.1401/9788815371102/p5

Premessa

Definizioni

Mediterraneo non è solo un mare fra le terre ma un luogo dell’anima, un modo di essere, di vedere, di pensare, di vivere, di stare nel mondo e anche a scuola.
La scuola [1]
mediterranea è aperta, accogliente, inclusiva, ha un clima mite e persegue lo sviluppo armonico e integrale della persona.
La persona mediterranea è sempre alla ricerca, come un nuovo Odisseo è alla scoperta dei mondi visibili e invisibili, altri modi di vedere le conoscenze e le culture.
La cultura mediterranea è calda [2]
, dinamica, aperta, senza confini, è la ricchezza del nostro Paese.
La mediterraneità è un sentimento, uno stile, è una ricerca continua della felicità e della qualità della vita, è un gusto particolare, anche per la scuola.

La scuola mediterranea e la scuola meridionale

Al lettore attento non sarà sfuggito che le parole interne alle definizioni richiamano intenzionalmente il pensiero {p. 26}mediterraneo: ricerca, accoglienza, benessere, armonia, felicità appartengono alla natura e alla cultura dell’uomo mediterraneo e aprono un mondo di senso per la scuola. Infatti il Mediterraneo è un mare fra le terre ma è soprattutto un luogo di bellezza, di arte, di storia, di cultura, in cui la scuola può immergersi per rigenerarsi.
In particolare la scuola meridionale, da tempo disorientata, può ritrovarsi all’interno della propria mediterraneità, può portare alla luce la sua identità, può rivitalizzare la sua storia, può ripercorrere la via già tracciata dalle tante esperienze innovative, senza inutili contrapposizioni o sterili imitazioni. Una scuola meridionale, solida nella sua rinnovata identità, è una risorsa per tutto il Paese oltre che per lo sviluppo del territorio in cui è insediata. Infatti proprio la scuola, a differenza di altre realtà che in questi anni sono state interessate da grandi piani di investimento corrispondenti ad altrettanti fallimenti, ha alcune caratteristiche che la rendono una risorsa insostituibile: è radicata e diffusa su tutto il territorio e, di generazione in generazione, coinvolge nel processo formativo ed educativo tutte le famiglie; è finalizzata alla promozione delle competenze di ogni studente senza esclusione, al fine di valorizzare tutti i talenti rimuovendo gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona [3]
; è un luogo e un tempo curato, libero da dinamiche devianti, ataviche e irrazionali, determinate da vischiosità e clientelismi, che soffocano il libero sviluppo delle persone e delle comunità sociali. Per questi motivi, e molti altri che approfondiremo nelle argomentazioni del testo, vi è oramai una diffusa consapevolezza, e in letteratura un’ampia documentazione, sull’importanza fondamentale e ineludibile della scuola per lo sviluppo del capitale umano e sociale, ma non sempre vi è la stessa consapevolezza nelle scuole del loro valore aggiunto e distintivo.
Diciamolo da subito, il testo non intende perdersi nella complessa e annosa questione meridionale, bensì riporre al {p. 27}centro dell’attenzione una scuola bistrattata nella sua rinnovata identità mediterranea. Dobbiamo anche ricordare, a tutte le scuole interessate, e in particolare alle scuole meridionali, che la mediterraneità non è data da una posizione e ancor meno è acquisita per diritto di appartenenza, ma è una sfida e una conquista aperta a tutti senza confini, senza linee di demarcazione, in latitudine o in longitudine.

La tesi

Intendiamo sostenere una tesi eretica, quasi indicibile nella profanazione del senso comune [4]
, ma facilmente comprendibile: la scuola meridionale mantiene alcuni caratteri mediterranei e, anche per questo motivo, è meglio di quanto narriamo. Prendiamo spunto dalla scuola meridionale ma in realtà proponiamo una diversa lettura di tutte le periferie considerate (indebitamente) della marginalità, dalle singole persone alle scuole fino agli ambienti sociali, visti come un problema per il Paese e per il suo sviluppo. Il Meridione è l’emblema di queste considerazioni sbrigative e superficiali, pertanto diviene l’ambiente più significativo e sfidante da cui partire per rivedere la «definizione della situazione» [5]
. Le stesse scuole, pur se insediate all’interno di contesti desertificati e abbandonati, da tempo rivendicano una diversa definizione della situazione. A testimonianza portano il loro contributo unico e straordinario e, per questo motivo, difficilmente rilevabile e ancor meno standardizzabile. Infatti, in questi ambienti, in cui la scuola è l’ultimo presidio sociale, {p. 28}abbiamo la sfida autentica al compito educativo e formativo. Eppure queste scuole, in cui l’attenzione al successo formativo per ogni studente e la personalizzazione dei processi di insegnamento e di apprendimento sono l’unica possibilità di sopravvivenza dentro un ambiente sociale privo di qualunque standard minimo, paradossalmente sono considerate un problema per il Paese proprio perché non rientrano negli standard minimi. Prendiamo ad esempio le competenze cognitive, rilevabili e misurabili, su cui oggi abbiamo molti dati, mentre su altre competenze, cosiddette non cognitive, non abbiamo nulla a disposizione, oltre a qualche ricerca e molta retorica. Eppure proprio le competenze come la resilienza, la collaborazione, l’intraprendenza sono parte integrante e necessaria alla sopravvivenza in questi contesti e pertanto sono significative in sé e, potenzialmente, anche per lo sviluppo delle competenze di base. Invece, paradossalmente, le competenze non cognitive, che hanno già un potenziale di sviluppo in questo substrato sociale, non vengono promosse a discapito delle stesse competenze cognitive che, con approcci di insegnamento formali e rutinari, non hanno particolari elementi attrattivi. In questo modo abbiamo un doppio danno in quanto le competenze cognitive vengono abbandonate e le competenze non cognitive non vengono valorizzate. Inoltre i sistemi di rilevazione, a livello nazionale e internazionale, hanno strumenti collaudati e sofisticati per la rilevazione delle conoscenze collegate alle discipline, mentre sono disarmati dinanzi a dimensioni che caratterizzano la persona, la sua forma mentis, i suoi talenti. Diciamolo da subito: non si tratta di introdurre una sterile contrapposizione tra la standardizzazione, necessaria alle rilevazioni su larga scala, e la personalizzazione necessaria alla valorizzazione delle diversità. Infatti abbiamo bisogno delle rilevazioni con prove nazionali o internazionali per avere comparazioni con un metro comune di riferimento, ma allo stesso tempo abbiamo la necessità di riconoscere l’unicità e la complessità che appartengono sia alle persone sia al sociale, con le diverse logiche di sviluppo e i diversi contesti di riferimento.{p. 29}
Nel testo avremo modo di approfondire e di documentare, per ora riaffermiamo solo la nostra tesi, in particolare per coloro che attoniti a tali argomentazioni si sono già smarriti: le periferie scolastiche sono meglio della narrazione socialmente accreditata, inoltre sono già predisposte a una storia nuova se abbiamo il coraggio di promuoverla. Così è per la scuola meridionale, che, per antonomasia, è considerata da molti la periferia del nostro Paese.
Non stiamo parlando di un tutto indistinto della scuola del Sud contro un tutto indistinto della scuola del Nord, con istogrammi che si innalzano in un cielo limpido da una parte e si inabissano in un mare torbido dall’altra e che, come un riflesso pavloviano, molti avranno visto comparire davanti agli occhi. Anzi, proprio questa reazione incontrollata è la prova provata che oramai non riusciamo più a distinguere e veniamo contaminati dai topoi della retorica sociale in cui si narra «della notte in cui, come si suol dire, tutte le vacche sono nere» [6]
. La diversa narrazione che proponiamo è finalizzata a una storia nuova in cui la scuola meridionale possa ritrovare i suoi caratteri e possa, finalmente, essere riconsiderata. Altrimenti continueremo a
misurare le cose apprese con il metro delle cose già conosciute in altri ambienti, e non comprenderle nella loro ragion d’essere e nel loro profondo significato, onde viene eliso qualsiasi sforzo pratico da una dualità di modi di valutare e di apprezzare le cose, che determinano due posizioni veramente diverse fra il Mezzogiorno e il resto d’Italia [7]
.
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Note
[1] Cultura, scuola, persona sono tre parole chiave in queste Definizioni ma soprattutto sono il titolo del capitolo iniziale delle Indicazioni per il curricolo del 2007, ripreso poi integralmente nelle Indicazioni nazionali per il curricolo del 2012. Vedi Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione, in Annali della Pubblica Istruzione, Firenze, Le Monnier, 2012.
[2] C. Lévi-Strauss, uno dei padri fondatori dell’antropologia moderna, ha definito la famosa dicotomia tra «società calde» e «società fredde». «Una società fredda sembra concepita all’unico scopo di escludere il motore della vita collettiva. Una società calda [...] produce energia e divenire». Cfr. C. Lévi-Strauss, Elogio dell’antropologia, in Razza e Storia e altri studi di antropologia, Torino, Einaudi, 1967.
[3] Costituzione, art. 3: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana».
[4] «Se il senso comune è un’interpretazione delle conseguenze immediate dell’esperienza, una patina sovrapposta [...] allora è soggetto a parametri di giudizio storicamente definiti». Vedi C. Geertz, Antropologia interpretativa, Bologna, Il Mulino, 1988, p. 95.
[5] Con «la definizione della situazione» ci riferiamo al famoso teorema di William Thomas: «Se gli uomini definiscono reali certe situazioni, esse saranno reali nelle loro conseguenze». Se definiamo la scuola meridionale un problema essa sarà problema in quanto rafforzeremo la rappresentazione sociale consolidando così i problemi invece che contribuire a risolverli. Vedi capitolo secondo, paragrafo 1, La definizione della situazione.
[6] «La notte in cui, come si suol dire, tutte le vacche sono nere» è una famosa espressione usata da Hegel nella Prefazione alla Fenomenologia dello Spirito. L’espressione compare in un passo in cui Hegel polemizza con Schelling e in generale con tutte le concezioni che interpretano la realtà come un dato «assoluto» e «altro» rispetto a quella in cui viviamo.
[7] L. Sturzo, Il mezzogiorno e la politica italiana. È il titolo del discorso tenuto da don Sturzo il 18 gennaio 1923 nella Galleria Principe di Napoli, che apparve integralmente nel volume Riforma statale e indirizzi politici, Firenze, Vallecchi, 1923, e che qui è ripreso da L. Sturzo e A. Gramsci, Il Mezzogiorno e l’Italia, Roma, Studium, 2012, p. 81.