Christoph Cornelissen, Gabriele D'Ottavio (a cura di)
La Repubblica di Weimar: democrazia e modernità
DOI: 10.1401/9788815370228/c4

Le celebrazioni della giornata della Costituzione nella Repubblica di Weimar
Traduzione di Enzo Morandi

Notizie Autori
Nadine Rossol è senior lecturer di Storia contemporanea, University of Essex.
Abstract
Il capitolo è dedicato ad alcune riflessioni che hanno come oggetto della loro analisi l’eterogeneità delle posizioni in merito alle modalità con cui la nuova costituzione venne presentata ai tedeschi. Le difficoltà con cui il governo di Weimar dovette fare i conti riguardo all’utilizzo di una simbologia consona riflettevano le problematiche che in generale la repubblica dovette affrontare in merito alle sue modalità di autorappresentazione, la quale doveva essere attrattiva e soprattutto funzionale alla ricostruzione identitaria del paese. Nello specifico viene qui trattato il modo in cui le celebrazioni siano state nel corso del tempo strumentalizzate a seconda delle diverse esigenze politiche.
Nell’agosto del 1919 il Ministero degli Interni del Reich ricevette una lettera dell’Arbeitsgemeinschaft für staatsbürgerliche und wirtschaftliche Bildung (Gruppo di lavoro per l’educazione civica ed economica) che conteneva proposte dettagliate per celebrare la Costituzione. La ragione era semplice: si voleva «presentare la nuova Costituzione del Reich nella giusta luce». Avrebbero dovuto essere coinvolti istituti scolastici, chiese e università nonché vasti strati della popolazione.
«Cortei, discorsi su tutte le piazze, manifestazioni canore e musicali all’aperto potrebbero concludere la festa. Il popolo dovrà essere ovunque partecipe, prestando aiuto per gli addobbi, sfilando in corteo, partecipando con tutti coloro che sanno cantare alle grandi manifestazioni canore e intonando tutti insieme il canto popolare (Festgesang) nelle chiese, nei teatri, nelle sale, per strada e ovunque ci siano dei grandi balli. Anche il popolo deve festeggiare questa giornata. Non deve fare solo da spettatore. Deve contribuire alla sua realizzazione ed esserne attivamente partecipe» [1]
.
Questa lettera, che tratteggia brevemente i compiti della repubblica relativamente alla propria autorappresentazione, getta un fascio di luce su ambiti tematici di cui la storiografia si occupa da non più di una quindicina d’anni. Concentrando l’attenzione su quanti volevano festeggiare, rappresentare, sostenere e difendere la loro nuova repubblica, lo sguardo si allarga su un paesaggio politico di Weimar che non era occupato solo {p. 92}dai suoi nemici [2]
. In tal modo viene messo in discussione non solo il presunto «deficit di rappresentazione della Repubblica di Weimar», ma anche la convinzione a lungo prevalente secondo la quale l’uso di simboli politici sarebbe stato esclusivo appannaggio dei settori più radicali. Anche i repubblicani erano una forza politica, una forza che si impegnava per il suo Stato sia a livello nazionale che locale e voleva prendere parte attiva alla sua edificazione. Se i conflitti intorno ai simboli politici che scoppiavano localmente destavano una grande attenzione era anche perché non erano pochi i repubblicani che si mobilitavano a sostegno della repubblica.
Le celebrazioni nazionali e locali in onore della Costituzione weimariana evidenziano allo stesso modo i problemi e le opportunità con cui si misurarono i sostenitori della repubblica. Queste festività dovevano fare in modo che la repubblica fosse visibile e alla portata di tutti attraverso una rappresentazione chiara e attrattiva. Alcuni volevano coinvolgere tutti gli strati della popolazione e in tal modo sviluppare gradualmente una concezione repubblicana di nazione, per altri invece si trattava di tracciare una netta linea divisoria nei confronti dei nemici della repubblica. Aspetti moderni di una cultura della festa degli anni Venti coesistevano con festeggiamenti politici tradizionali, laddove questi ultimi non erano necessariamente meno attrattivi. Naturalmente i repubblicani non agivano in un vuoto politico, ma reagivano ai loro avversari politici esattamente come questi facevano con loro. La cultura politica della prima repubblica tedesca era profondamente radicata in diversi {p. 93}milieu [3]
. Focalizzare l’attenzione sulle celebrazioni in onore della Costituzione come esempio di attiva partecipazione alla edificazione della Repubblica di Weimar non significa raccontare ex post una storia di successo e non elimina le ambiguità presenti nel campo repubblicano, ma sgombra il terreno dallo stereotipo secondo il quale i repubblicani non avrebbero preso attivamente parte alla edificazione della Repubblica weimariana.

1. Organizzazione e modalità di svolgimento dei festeggiamenti in onore della Costituzione

Le celebrazioni in onore della Costituzione intendevano ricordare il giorno della sua promulgazione nel 1919 e quindi avevano luogo l’11 agosto di ogni anno. Dal 1921 al 1932 ogni governo in carica celebrava quel giorno con una cerimonia che inizialmente si teneva presso l’Opernhaus di Berlino ma che già nel 1922 venne definitivamente spostata in Parlamento (Reichstag). Uno spostamento che fu la diretta conseguenza di un tragico evento, vale a dire l’assassinio del ministro degli Esteri Walther Rathenau nel giugno del 1922. La cerimonia funebre per Rathenau fece del Reichstag il luogo più idoneo ad ospitare le festività nazionali. Anni dopo il direttore generale democratico Arnold Brecht lo avrebbe detto chiaramente: «Le celebrazioni [in occasione della giornata della Costituzione del 1922] ebbero luogo nel Reichstag, consacrato mediante la cerimonia funebre in onore di Rathenau» [4]
. In quell’anno successe anche qualcos’altro: il presidente del Reich Friedrich Ebert chiese ed ottenne che diventasse inno nazionale il Deutschlandlied, che a partire da allora chiuse ogni anno la {p. 94}cerimonia commemorativa del governo. Il brutale assassinio di Rathenau provocò altre conseguenze. Rafforzò la convinzione di molti repubblicani che occorresse difendere lo Stato dagli attacchi politici e sfociò in una legge per la difesa della repubblica (Republikschutzgesetz) che venne approvata, appena quattro settimane dopo l’attentato (21 luglio 1922). Una legge che prevedeva pesanti sanzioni a carico di chi denigrava e disprezzava i politici e i simboli dello Stato ma che negli anni successivi sarebbe stata spesso disapplicata. Nonostante le annuali cerimonie commemorative del governo la giornata della Costituzione non divenne mai festa nazionale perché in Parlamento tutti i tentativi che vennero fatti per mettere insieme una maggioranza in tal senso andarono delusi. Mentre, infatti, settori della DDP e dell’SPD volevano che l’11 agosto diventasse festa nazionale, tra le file dell’SPD c’era chi invece propendeva per il primo maggio. A ciò si aggiunga che anche la destra nazionale e la sinistra comunista erano contro l’11 agosto. Il dibattito parlamentare che nel 1929 si sviluppò intorno alla questione delle celebrazioni per la Costituzione fece chiaramente emergere i contrasti esistenti tra le varie forze politiche. Il socialdemocratico renano Wilhelm Sollmann invocò una «offensiva repubblicana» in occasione del decimo anniversario della repubblica e giustificò la sua richiesta con queste parole: «Non dimentichiamo da dove viene questa repubblica, questo Stato, questa repubblica è stata fondata, è stata edificata dai poveri, dai più poveri compagni del popolo». Il deputato della DNVP Emil Berndt rispose affermando che i festeggiamenti in onore della Costituzione erano una «celebrazione dimostrativa» che in realtà non corrispondeva al «sentimento di molti cittadini» [5]
.
Se nel Reichstag il tentativo di fare dell’11 agosto una festa nazionale fallì, in alcuni Länder le cose andarono diversamente. Così, nel 1923 nel Baden e nel 1929 in Assia la giornata della Costituzione divenne festiva (ma qui nel 1932 la festività venne soppressa su iniziativa della NSDAP). In Prussia l’11 agosto {p. 95}fu dichiarato giorno semifestivo con un’ordinanza ufficiale: le scuole erano tenute a celebrare la Costituzione e lo stesso dovevano fare le città capoluogo (di un distretto), i comuni e le amministrazioni comunali [6]
, ma per il resto era una normale giornata di studio e di lavoro. In netta controtendenza rispetto alla Prussia, la Baviera ritenne invece di subire un’imposizione allorché il governo centrale chiese a Monaco di esporre la bandiera nera-rossa-oro e di ordinare agli impiegati di partecipare ad una modesta celebrazione. Se proprio si doveva esporre la bandiera in onore della Costituzione, questa l’opinione assolutamente prevalente, in tal caso essa doveva avere solo i colori bianco e blu [7]
. Mentre c’erano disposizioni ufficiali che definivano il quadro delle celebrazioni, la loro organizzazione dipendeva dalle diverse situazioni locali e dalla volontà dei responsabili in loco. Con il risultato, tra l’altro, che la collaborazione con le scuole, le associazioni repubblicane, i partiti e le forze della società civile così come poteva essere sollecitata poteva anche non essere richiesta. Molti sono gli esempi che stanno a dimostrare come queste celebrazioni dipendessero soprattutto dalle strutture locali, ad esempio dalla presenza di organizzazioni, partiti e giornali repubblicani e dall’atteggiamento politico-partitico di sindaci, responsabili distrettuali, capi della polizia o dirigenti scolastici [8]
. Non a caso il settimanale «Deutsche Republik» scrisse che purtroppo era vero che «la buona volontà dei ministri repubblicani nel Reich e nei Länder falliva molto semplicemente a causa della resistenza passiva della piccola burocrazia» [9]
.
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Note
[1] Bundesarchiv Berlin (d’ora in poi BArchB), R 1501/116860, pp. 70-73.
[2] B. Buchner, Um nationale und republikanische Identität. Die deutsche Sozialdemokratie und der Kampf um politische Symbole der Weimarer Republik, Bonn, Dietz, 2001; N. Rossol, Performing the Nation in Interwar Germany: Sport, Spectacle and Political Symbolism 1926-1936, Basingstoke, Palgrave Macmillan, 2010; M. Achilles, Performing the Reich: Democratic Symbols and Rituals in the Weimar Republic, in K. Canning et al. (edd), Weimar Publics/Weimar Subjects: Rethinking the Political Culture of Germany in the 1920s, New York, Berghahn, 2010, pp. 175-191; C. Welzbacher (ed), Der Reichskunstwart. Kulturpolitik und Staatsinszenierung in der Weimarer Republik, Weimar, Weimarer Verlagsgesellschaft, 2010; B. Ziemann, Contested Commemorations. Republican War Veterans and Weimar Political Culture, Cambridge, Cambridge University Press, 2013.
[3] Sugli anniversari e le celebrazioni nella Repubblica di Weimar si veda, anche se ai repubblicani non viene dedicata molta attenzione, la raccolta di D. Lehnert - K. Megerle (edd), Politische Identität und nationale Gedenktage. Zur Politischen Kultur in der Weimarer Republik, Opladen, Westdeutscher, 1989. Per un approccio più generale si veda: S. Weichlein, Sozialmilieus und politische Kultur in der Weimarer Republik. Lebenswelt, Vereinskultur, Politik in Hessen, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1996.
[4] A. Brecht, Die erste Verfassungsfeier, in «Der Heimatdienst», 15, agosto 1929, p. 275.
[5] Verhandlungen des Reichstags, vol. 425, resoconti stenografici, p. 2169, p. 79, seduta del 7 giugno 1929.
[6] B. Buchner, Um nationale und republikanische Identität, p. 329. Circa i regolamenti vigenti nei diversi Länder cfr. K. Müller - A. Wagner, Republikanische Schulfeiern, I, Langensalza, Beltz, 1928, pp. 13-21.
[7] Circa i conflitti tra Berlino e la Baviera, cfr. BArchB, R 1501/116873 e 116864.
[8] M. Bloch, Die Verfassungsfeiern in Hannover 1922-32, in H.D. Schmidt (ed), Feste und Feiern in Hannover, Bielefeld, Verl. für Regionalgeschichte, 1995, pp. 211-230; J. Ossner, Die Reichsgründungs- und Verfassungsfeiern in Wetzlar und Gießen 1921 bis 1933, in «Hessisches Jahrbuch für Landes-geschichte», 49, 1999, pp. 150-177.
[9] Republik und Bürokratie, in «Deutsche Republik», 3, 14 settembre 1929, p. 50.