Christoph Cornelissen, Gabriele D'Ottavio (a cura di)
La Repubblica di Weimar: democrazia e modernità
DOI: 10.1401/9788815370228/c3

Liberalizzazione e militarizzazione: la società postbellica della Repubblica di Weimar
Traduzione di Enzo Morandi

Notizie Autori
Dirk Schumann è professore ordinario di Storia moderna e contemporanea, Georg-August-Universität Göttingen.
Abstract
Si affrontano qui due tematiche chiave relative al percorso di rinnovamento di cui la Repubblica di Weimar rappresenta l’inizio, ovvero quella della liberalizzazione e della militarizzazione del neonato governo, affrontati a partire dalla inconsueta portata storica di tale evento. Se, infatti, Weimar viene spesso considerata nei termini di una realtà politica e sociale che ha posto le basi per l’affermarsi del nazionalsocialismo, e quindi come un fenomeno storico pre-bellico, è altresì vero che storicamente essa rappresenta in primo luogo un evento post-bellico, sorto dalla volontà di reindirizzare il percorso politico tedesco successivamente alle devastazioni della prima guerra mondiale e alla conseguente perdita di un’autorità politica di riferimento.
Negli studi sulla Repubblica di Weimar e la sua cultura politica un posto di primo piano lo hanno a lungo occupato le cause del suo fallimento. Così, l’attenzione si è focalizzata sul comunismo e il nazionalsocialismo, sui supposti limiti della Costituzione, sulle carenze dei partiti e sulle decisioni fatali della classe politica al potere e dei rappresentanti delle elite sociali. La rivoluzione del 1918-1919 è stata ritenuta un sostanziale fallimento. In una repubblica su cui gravavano le conseguenze della guerra e priva di un grande sostegno popolare la successiva mobilitazione di massa nazista nel corso della grande crisi economica e quindi la presa del potere da parte di Hitler sono state spesso interpretate come un esito sostanzialmente inevitabile.
A lungo prevalente e ancora non del tutto superata, questa lettura degli eventi risulta tuttavia unilaterale e insufficiente. Se vogliamo capire che cosa assillava i contemporanei, è necessario prima di tutto evitare di focalizzare l’attenzione sulla storia della Repubblica di Weimar come semplice antefatto del regime nazionalsocialista. È ‘anche’ questo, non c’è dubbio, e la questione del perché nel 1933 i nazisti riuscirono a prendere il potere rimane di primaria importanza, ma deve essere inserita in un contesto temporale e tematico più grande. La storia della Repubblica di Weimar, infatti, non fu solo «l’antefatto» del nazionalsocialismo ma fu anche una «post-storia»: e cioè in primo luogo la storia degli eventi {p. 72}postbellici, che coinvolsero praticamente tutta la popolazione, e della rivoluzione che ne seguì con il suo complesso carico di aspettative ma anche di timori per il futuro. Ma fu anche la storia che seguì quei radicali cambiamenti della modernità che alla svolta del secolo resero possibile l’affermarsi di uno stile di vita il cui fulcro erano la grande città e la cultura di massa. Tecnica e industria, oltre che una grande varietà di impressioni sensoriali ed esperienze sociali caratterizzavano ora il modo di vivere e di sentire dei tedeschi più del prevedibile, rassicurante e semplice mondo contadino. Con la sua inedita e totale mobilitazione delle risorse umane ed economiche del Paese, la guerra facilitò l’avvento della modernità.
Per tematizzare la liberalizzazione e la militarizzazione come due fondamentali sviluppi in seno alla società tedesca dopo il 1918 occorre partire da queste premesse. Di primo acchito i due concetti appaiono chiaramente in contraddizione: l’esperienza della molteplicità delle opinioni politiche e della vita culturale, della grande libertà di cui si godeva nel decidere in merito alla propria vita, a partire dalle attività legate al maggior tempo libero a disposizione per finire con la possibilità di soddisfare i propri desideri sessuali, tutto questo appare decisamente in contrasto con uniformi, parate ed esercitazioni militari. Un contrasto che appare anche più evidente se si considera che la rivoluzione dell’autunno del 1918 fu senza dubbio seguita da un generale impulso alla liberalizzazione, mentre la militarizzazione della cultura politica cominciò a manifestarsi chiaramente solo verso la metà dell’epoca weimariana.
In questo saggio sosterrò che sia la liberalizzazione che la militarizzazione trassero origine da una generale crisi dell’autorità che si sviluppò durante la guerra e proseguì con la rivoluzione coinvolgendo soprattutto i più giovani. Liberalizzazione e militarizzazione, dunque, non furono un fenomeno della società postbellica solo dal punto di vista temporale dal momento che erano direttamente collegabili a sviluppi precedenti. Inoltre, ed è questa la tesi principale che viene qui sostenuta, i due fenomeni non erano necessariamente in contrasto. Come vedremo, anzi, essi si intrecciarono condizionandosi a vicenda. Naturalmente fu solo a seguito della crisi econo-{p. 73}mica mondiale che la militarizzazione poté radicalizzarsi in un modo tale da risultare fatale per la tenuta della democrazia.

I.

Prima dunque di esaminare la liberalizzazione e in seguito la militarizzazione nonché i loro possibili collegamenti in seno alla società, occorre preliminarmente chiarire due concetti: il concetto di «autorità» (e della sua «crisi») e quello di «società postbellica». Nel contesto della storia della Repubblica di Weimar il primo – autorità – viene senza dubbio utilizzato meno del secondo. In uno studio stimolante Anthony McElligott ha individuato la sfida fondamentale cui la repubblica si trovò di fronte nella necessità di ristabilire l’autorità e superare in tal modo quella crisi della medesima che era apparsa manifesta nell’ultimo periodo della guerra. Ciò che sulle prime può suonare molto familiare con riferimento in particolare all’annosa questione della scarsa accettazione della nuova democrazia da parte della popolazione. Ma per McElligott non si tratta solamente di giustapporre gli sforzi, poi falliti, del nuovo sistema politico volti ad ottenere una più ampia legittimazione alle azioni delegittimanti dei suoi avversari. In realtà, egli inserisce il problema dell’autorità nel più ampio contesto della modernità e della guerra e adotta una prospettiva più ampia che include i diversi campi nonché le varie dimensioni locali della disputa sulla validità dell’autorità: vi rientrano la politica e l’economia, ma anche la cultura, la magistratura e lo stesso Landrat. Un approccio così complesso appare più adatto a cogliere il nesso tra modernità e democrazia come pure quello tra liberalizzazione e militarizzazione durante la Repubblica di Weimar rispetto agli studi precedenti, in buona parte focalizzati solo sulle strutture politiche e i processi decisionali.
Certamente più familiare delle considerazioni di McElligott è la caratterizzazione della società weimariana come «società postbellica» (post-war society) che Richard Bessel formulò {p. 74}nel 1993 [1]
. Una definizione con cui Bessel intendeva riferirsi all’incapacità dei tedeschi di lasciarsi la guerra alle spalle perché non accettavano la sconfitta, non riuscivano a trovare un consenso minimo in merito all’interpretazione della guerra e quindi non potevano, su queste basi, dare vita ad un ordine politico-sociale in grado di durare a lungo. Quello di Bessel è un approccio metodologico ad ampio spettro in cui trovano posto, accanto alle richieste socio-politiche avanzate dai veterani di guerra, anche le forme estetiche del ricordo della guerra nella letteratura e nei monumenti. Come McElligott, quindi, anche Bessel colloca le sue idee nel più ampio contesto della cultura politica. La quale a questo punto non viene più intesa solo come la somma di posizioni empiricamente rilevabili rispetto al sistema politico, ma più estesamente come un complesso insieme di articolate attitudini, atteggiamenti e pratiche simboliche attraverso cui si rafforza il legame tra quanti condividono gli stessi orientamenti.

II.

Quando l’autorità non viene più riconosciuta come naturale, ciò può essere già inteso – in senso lato – come una forma di liberalizzazione; ed è proprio questo quel che avvenne durante la guerra al di là delle istituzioni politiche. Uno sviluppo che interessò particolarmente il mondo della scuola e la vita dei più giovani, e quindi di quelli che durante gli anni di Weimar costituivano, unitamente ai veterani di guerra, una parte non indifferente dei membri di quei «gruppi paramilitari» che marciavano in file compatte nelle strade del Paese. Durante la guerra, buona parte del corpo insegnante venne chiamato alle armi, con il risultato che si dovette procedere ad una notevole riduzione del numero delle ore di insegnamento. Contemporaneamente, le sempre più difficili condizioni di vita, soprattutto negli ultimi anni di guerra, indussero molti giovani in età scolare a lasciare senza autorizzazione la scuola {p. 75}per aiutare la famiglia, dove spesso mancava il padre perché richiamato alle armi e la madre era costretta a lavorare fuori casa. I poliziotti incaricati di rintracciare questi giovani e di riportarli a scuola anche con la forza incontravano forti resistenze. Le autorità tradizionali, insomma, latitavano o erano molto meno presenti, e soprattutto era notevolmente diminuito il rispetto che si aveva nei loro confronti. Verso la metà degli anni Venti, in uno studio sul comportamento dei giovani durante la guerra il pedagogista Wilhem Flitner descrisse questi cambiamenti con accenti molto critici: «Spesso non c’era nessuno che vigilava sul bambino, il quale aveva ora a che fare con guide meno autorevoli e ne approfittava. Egli provava gusto per una vita sregolata» [2]
. Certo, a differenza di quel che pensava il pedagogista Flitner questo «gusto» può anche avere un risvolto positivo, in altre parole può essere inteso come voglia di libertà e come scoperta e soddisfacimento dei bisogni personali. Lo stesso si può dire per i più grandicelli, che erano già al lavoro nelle fabbriche in sostituzione degli operai spediti al fronte. Costoro ora disponevano di danaro e potevano quindi permettersi di andare al cinema o di frequentare altri locali, e in ogni caso potevano concedersi divertimenti che in precedenza erano loro preclusi. In un contesto caratterizzato da un forte aumento della criminalità giovanile, anche questi sviluppi preoccuparono non poco i contemporanei, che cercarono di adottare qualche strumento di controllo, tra cui quello dell’austerità. D’altro canto, è possibile riconoscere in questi sviluppi un aumento della libertà personale e quindi una forma di liberalizzazione, malgrado le difficili condizioni materiali degli anni di guerra e anche se certo non rivestivano una specifica dimensione politica.
Con la fine della guerra e la rivoluzione che ne seguì questa messa in discussione dell’autorità conobbe un nuovo e più forte impulso. Nelle scuole e soprattutto nei licei essa si manifestò in una forma finora inedita, l’elezione dei consigli scolastici. I quali, come ha evidenziato Martin Geyer, oltre a mostrare la
{p. 76}loro faccia ribelle già con il rifiuto di rivolgere il saluto agli insegnanti, vollero anch’essi, da posizioni liberali di sinistra, partecipare alla rivoluzione, anche se il loro impegno fu di breve durata. Un nuovo e non meno appariscente godimento della libertà si manifestò nel comportamento dei soldati, che una volta tornati a casa se ne andavano in giro indossando larghe uniformi fuori ordinanza e a volte strappavano perfino le spalline agli ufficiali che incontravano. Ora la vita sembrava scorrere nel segno della gioventù – in senso lato – sempre alla ricerca di nuovi modi per soddisfare il piacere di vivere. Non a caso si imposero nuovi balli come il foxtrot e il tango, abiti più aderenti e costumi sessuali decisamente più permissivi. Come alla fine del 1919 annotarono con grande disappunto i responsabili decisionali locali della Sassonia – appartenenti ad un’altra epoca e già in carica durante il Reich guglielmino, e dunque esponenti del vecchio funzionariato – c’era «una depravazione e un abbrutimento» della gioventù che si manifestavano in una «ricerca sfrenata del divertimento, un comportamento assai maleducato per strada … e un disprezzo delle regole familiari e delle autorità costituite» [3]
. Senza voler negare i problemi cui un simile comportamento poteva dare adito, nel giudizio dei funzionari si riflette inequivocabilmente una liberalizzazione sociale che si accompagnò a quella politica in seguito alla rivoluzione e alla entrata in vigore della nuova Costituzione.
Note
[1] R. Bessel, Germany After the First World War, Oxford, Clarendon, 1993, p. 283.
[2] W. Flitner, Der Krieg und die Jugend, in O. Baumgarten et al., Geistige und sittliche Wirkungen des Krieges in Deutschland, Stuttgart - Berlin - Leipzig - New Haven, Deutsche Verlags-Anstalt, 1927, p. 267.
[3] Lettera del Regierungspräsident di Magdeburgo al ministro degli Interni prussiano, 25 ottobre 1919, in Landesarchiv Sachsen-Anhalt Dresden, sez. Magdeburg, C 20 Ib 1996/I, cc. 332 s.