Giorgio Chiosso, Anna Maria Poggi, Giorgio Vittadini (a cura di)
Viaggio nelle character skills
DOI: 10.1401/9788815366962/c6

Capitolo sesto Le non cognitive skills nella scuola
di Damiano Previtali

Notizie Autori
Damiano Previtali Dirigente del Sistema Nazionale di Valutazione del Ministero dell’Istruzione, presidente del Comitato provinciale di valutazione del sistema scolastico e formativo del Trentino, referente scientifico della Struttura regionale per la valutazione del sistema scolastico della Valle d’Aosta. Già referente scientifico progetti per la scuola SUM Politecnico di Milano e docente di Metodologia della ricerca e della valutazione nell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Fra le sue pubblicazioni recenti: “Il sistema nazionale di valutazione in Italia” (2018); “La rendicontazione sociale” (2019); “Il curriculum dello studente” (2020).
Abstract
La diffusione delle informazioni, la frammentazione della conoscenza, il disorientamento a cui gli studenti sono quotidianamente sottoposti non porta, come alcuni sostengono, alla morte della scuola, bensì al suo rafforzamento. Infatti gli studenti e le famiglie chiedono proprio alla scuola di dotare di senso il percorso formativo. Per affrontare questa richiesta il contributo risponde ad alcune domande: quali sono le finalità che la scuola oggi deve raggiungere? Quali sono le metodologie di insegnamento/apprendimento? Quali strumenti abbiamo per verificare che le finalità siano state perseguite e raggiunte?
Le non cognitive skills introducono nella scuola risposte significative a questi quesiti fondamentali in quanto portano l’attenzione sulla formazione armonica e integrale della persona, aprono alla dimensione educativa nei processi di insegnamento-apprendimento, provocano le metodologie didattiche, determinano scelte identitarie da parte delle scuole.
In parallelo la politica scolastica e il conseguente ordinamento scolastico hanno messo a sistema, in poco tempo, molti passaggi che ruotano intorno alle competenze: la certificazione delle competenze; i percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento; la valutazione delle competenze in educazione civica; il curricolo dello studente con le competenze in ambito formale, non formale e informale. Un accumulo di potenziali innovazioni che, senza una logica di riferimento, rischiano di creare ulteriore disorientamento.

1. Tre domande sulla scuola

Per semplificare fenomeni complessi, difficilmente riassumibili, si tendono a radicalizzare le diverse posizioni. Così come avviene nel mondo della scuola, quando si rappresentano gli innovatori come i promotori delle competenze che non hanno più bisogno della lavagna, della cattedra, della predella, dei quaderni e al loro opposto i conservatori come i difensori delle conoscenze e degli strumenti di insegnamento consolidati nell’ultimo secolo, che devono continuamente essere perpetuati in quanto hanno dato garanzia di risultato di cui loro, i conservatori ovviamente, sono la riprova. Se poi dovessimo scegliere fra innovazione e conservazione, spontaneamente tenderemmo a schierarci per l’innovazione, per il cambiamento, per il nuovo, in quanto più attraenti ed inoltre connotati di positività nella semantica sociale.
In generale, la stessa storia della conoscenza ci insegna che propendiamo per le rivoluzioni [1]
, aspiriamo a continui cambiamenti di paradigma che, naturalmente, comportano inevitabili reazioni di conservazione [2]
. Anche nel mondo della scuola abbiamo visto e continuiamo ad assistere all’introduzione di alcune novità, con una serie di fattori concomitanti {p. 130}in ambito sociale, che determinano delle accelerazioni nei cambiamenti, a volte degli strappi epistemologici, che portano all’abbandono di pratiche consolidate per intraprendere nuove esperienze che si definiscono come innovative.
Nella scia delle rivoluzioni scientifiche [3]
abbiamo assunto il mito della sostituzione. Così anche nel mondo della scuola siamo affascinati e attratti dalle novità, eppure la storia ci dice che, a differenza delle scoperte scientifiche, nell’ambito del sapere non progrediamo per rivoluzioni e sostituzioni bensì per integrazioni. Le novità si presentano sempre come alternative, ma si ritrovano poi integrate con le prassi quotidiane conservative: la «classe capovolta» [4]
ha bisogno della «classe normale»; le non cognitive skills hanno bisogno delle cognitive skills; le competenze hanno bisogno delle conoscenze. È la logica dall’intelligenza umana che si sviluppa per continui accomodamenti e assimilazioni [5]
, è la logica delle innovazioni nella scuola che non sono tali, e nemmeno sufficienti a sé stesse, senza una base di riferimento da cui partire: qualunque nuova visione, per quanto piccola, se poggia sulle spalle dei giganti [6]
può vedere più lontano.
Dunque, nel mondo della scuola soprattutto oggi assistiamo a scelte metodologiche, organizzative, contenutistiche, che si definiscono per contrapposizione o negazione, ma sappiamo che sono costruzioni retoriche che hanno il solo {p. 131}scopo di facilitare la propria affermazione in quanto nella realtà le troveremmo integrate.
Per quanto riguarda il nostro tema, emblematica è la definizione, oramai diffusa e affermata, di non cognitive skills. In definitiva si tratta di un artificio nominalistico per negazione che non intacca la sostanza dell’integrazione, in quanto le competenze cognitive e non cognitive non sono alternative e simmetriche, bensì integrate e complementari [7]
. Ben sapendo che l’integrazione non è scontata, non è una semplice e opportunistica posizione mediana (in medio stat virtus), ma va generata in modo nuovo e diverso in ogni contesto.
Ad esempio, se riportiamo in un ipotetico «catalogo ordinamentale» cosa è necessario cambiare della scuola (vecchia) e cosa è opportuno valorizzare della scuola (nuova), quanto dobbiamo mantenere del professore in cattedra e quanto dobbiamo promuovere del professore fra i banchi, quanto dobbiamo rafforzare delle conoscenze e quanto dobbiamo innovare sulle competenze, non facciamo altro che rafforzare la retorica della contrapposizione. Infatti non si tratta di addizionare o sottrarre qualcosa alla realtà, ma di ricercare un’integrazione fra nuove istanze sulla didattica che oggi interrogano profondamente la scuola.
Per affrontare questo tema dobbiamo innanzitutto porci tre domande:
1. Quali sono le finalità che la scuola oggi, alla luce dei cambiamenti, deve raggiungere?
2. Quali sono le metodologie di insegnamento/apprendimento più affini a queste finalità?
3. Quali strumenti abbiamo per verificare che le finalità siano state perseguite e raggiunte?{p. 132}

2. Il nuovo scenario

La scuola nel sistema sociale è il luogo istituzionale [8]
, professionalmente «curato» [9]
, delegato alla socializzazione [10]
, che rinnova le sue finalità nel tempo, in relazione agli sviluppi culturali. L’istituzione scolastica, mai come in questo momento, è in forte difficoltà in quanto i nuovi scenari sociali sono caratterizzati da molteplici cambiamenti e forti discontinuità rispetto al passato. Basti ricordare come l’apprendimento scolastico, a differenza di un passato ancora prossimo, è una delle tante esperienze di formazione degli studenti e i docenti non sono i riferimenti privilegiati, unici ed esclusivi depositari del sapere socialmente riconosciuto.
La società dell’informazione è attualmente testimone della più rapida crescita della conoscenza nella storia dell’umanità [...] Non sorprende che la crescita esponenziale di ciò che può essere trasmesso abbia causato una crisi più rilevante nel modo in cui concepiamo l’istruzione e organizziamo i sistemi educativi [11]
.
La pluralità e diffusione delle informazioni, la frammentazione della conoscenza, il disorientamento a cui gli studenti sono quotidianamente sottoposti non porta, come alcuni sostengono, alla morte della scuola [12]
, bensì al suo rafforzamento. Infatti gli studenti e le famiglie chiedono proprio alla scuola di ricomporre il disorientamento. Prendiamo ad esempio le ICT. Oggi le tecnologie sono tanto diffuse quanto ineludibili per il reperimento delle informazioni e per la loro accessibilità, ma non per quanto riguarda la selezione, l’utilizzo e ancor meno l’effettiva comprensione delle innumerevoli {p. 133}informazioni che mettono a disposizione. È indubbio che la disponibilità e l’accessibilità delle informazioni riguarda prioritariamente i fornitori, mentre è indiscutibile che la selezione, l’utilizzo e soprattutto la comprensione investono i luoghi dell’educazione e soprattutto il modo di fare scuola e di costruire la conoscenza.
A tale riguardo è indelebile, nella memoria personale e collettiva, l’utilizzo delle ICT «ai tempi del Covid-19» e, con la chiusura delle scuole, l’introduzione in maniera massiccia della didattica a distanza, da un giorno all’altro e senza alcuna predisposizione, anzi con una diffusa impreparazione. Quest’esperienza, per quanto forzata, ha dimostrato oltre a ogni altro ragionamento la necessità e allo stesso tempo il desiderio della dimensione educativa, ovvero di una relazione, un confronto, un sostegno, un «maestro» per non perdersi. Allo stesso tempo ha evidenziato la necessità di saper reperire, selezionare e comprendere la molteplicità delle informazioni. Tant’è che il mondo della scuola, dopo l’impronta della pandemia, si pone l’obiettivo di valorizzare al meglio le ICT nella didattica ma si chiede con quale finalità. Si pone l’interrogativo se sia ancora una sua finalità l’accrescimento dei contenuti che per anni hanno fatto esplodere a dismisura i «programmi scolastici» oppure se il suo compito oggi non sia tanto l’espansione quanto la riduzione. In termini pedagogici si direbbe l’insegnamento degli elementi essenziali che si configurano come i nuclei fondanti le discipline, che promuovono le competenze dello studente e permettono di continuare ad apprendere anche in autonomia.
Questo approccio, per quanto possa essere condivisibile, pone al centro il tema dell’istruzione oggi e, in particolare, di come è possibile costruire conoscenza ai tempi delle tecnologie dell’informazione, ma lascia in disparte il tema educativo che pone invece il problema della selezione attraverso i valori di riferimento. Emblematica, a tale riguardo, è l’introduzione dell’ora di insegnamento scolastico dell’educazione civica [13]
che riaffida alla scuola finalità educative
{p. 134}in ambito sociale a cui aveva abdicato. Si sta passando, in modo consapevole o inconsapevole, da una scuola a cui era stato chiesto di educare attraverso la formazione a una scuola chiamata innanzitutto ad educare alla formazione, e alla formazione permanente, per lo sviluppo delle competenze di cittadinanza attiva e senza contrapposizioni fra istruzione ed educazione.
Note
[1] Th. Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Torino, Einaudi, 1962.
[2] «Una vasta ricerca sulle trasformazioni nelle organizzazioni, ancora influenzata dalla distinzione fra organizzazione formale e informale, ha condotto all’idea che una trasformazione ha successo quando le riesce di superare le resistenze contro i cambiamenti ed arrivare ad essere accettata». «Il concetto di mutamento si riferisce sempre alle strutture del sistema mai alle sue operazioni». N. Luhmann, Organizzazione e decisione, Milano, Bruno Mondadori, 2005, p. 272.
[3] T. Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, cit.
[4] In ambito educativo con classe capovolta ci si riferisce a un approccio metodologico che ribalta il tradizionale ciclo di apprendimento fatto di lezione frontale, studio individuale a casa e verifiche in classe. A livello internazionale, tale approccio è identificato dall’espressione inglese flipped classroom.
[5] È risaputo, in quanto fa parte degli studi di base della Psicologia dello sviluppo, come Jean Piaget riporti i processi caratterizzanti l’adattamento all’assimilazione e all’accomodamento, che si avvicendano durante l’intero sviluppo umano. Cfr. Lo sviluppo mentale del bambino e altri studi di psicologia, Torino, Einaudi, 1967.
[6] Famosa citazione entrata nella storia del pensiero e attribuita a Bernardo di Chartres: «Noi siamo come nani sulle spalle di giganti, così che possiamo vedere più cose di loro e più lontane, non certo per l’acume della vista o l’altezza del nostro corpo, ma perché siamo sollevati e portati in alto dalla statura dei giganti».
[7] Si veda T. Agasisti, L. Ribolzi e G. Vittadini, La formazione del capitale umano, cit., p. 124.
[8] S. Cassese, La scuola: ideali costituenti e norme costituzionali, in «Giurisprudenza costituzionale», 1974.
[9] Vedi l’idea di cura e la filosofia della cura in ambito educativo. L. Mortari, La filosofia della cura, Milano, Raffaello Cortina, 2015; I. Lizzola, Aver cura della vita, Troina, Città aperta, 2002.
[10] L. Benadusi, A. Censi e V. Fabretti, Educazione e socializzazione. Lineamenti di sociologia dell’educazione, Milano, Franco Angeli, 2004.
[11] L. Floridi, La quarta rivoluzione. Come l’infosfera sta trasformando il mondo, Milano, Raffaello Cortina, 2017, p. 92.
[12] N. Bottani, Requiem per la scuola?, Bologna, Il Mulino, 2013.
[13] Legge 20 agosto 2019, n. 92, Introduzione dell’insegnamento scolastico dell’educazione civica. Si veda A.M. Poggi, «Non cognitive skills», cittadinanza ed educazione civica, pp. 185-203 del presente volume.