Giorgio Chiosso, Anna Maria Poggi, Giorgio Vittadini (a cura di)
Viaggio nelle character skills
DOI: 10.1401/9788815366962/c4

Capitolo quarto Neuroscienze e non cognitive skills
di Mauro Ceroni

Notizie Autori
Mauro Ceroni Si dedica alla Clinica neurologica e dal 1986 al 1990 è negli Usa agli NIH di Bethesda come neurobiologo sperimentale, contribuendo alla scoperta della natura dei prioni (mucca pazza). È autore di oltre 150 articoli su riviste internazionali, primario del Dipartimento di Neurologia Generale dell’Istituto Neurologico Nazionale Mondino, professore associato di Neurologia nell’Università di Pavia. È coautore del volume “La coscienza. Contributi per specialisti e non specialisti tra neuroscienze, filosofia e neurologia” (2013).
Abstract
Le neuroscienze avanzano la pretesa di essere l’unico modo oggettivo e certo di indagare le funzioni cerebrali e dunque le capacità umane. È sicuramente vero che tutte le funzioni superiori dell’uomo si attuano solo attraverso l’attivazione di circuiti cerebrali. La letteratura offre una sola pubblicazione in cui si è cercato di applicare la risonanza magnetica funzionale, in particolare l’analisi della connettività cerebrale nello stato di riposo, allo studio di 2 NCS, in particolare la grinta e la credenza nella crescita dell’assetto mentale. Le due abilità studiate mostrano assetti di connettività nello stato di riposo distinti fra di loro e i valori dei questionari per la determinazione delle due abilità correlano con le connettività delle due aree scelte, lo striato ventrale e quello dorsale. Siamo veramente ai primi passi dell’applicazione di metodologie oggettive di analisi cerebrale alle NCS e dunque ad un livello di ricerca e studio senza possibili attuali ricadute applicative. Ma è importante sottolineare che nessuna tecnica di indagine cerebrale potrà mai cogliere esaurientemente il soggetto e ciò che lo riguarda strettamente come le NCS.

1. Introduzione

Le neuroscienze hanno la pretesa di applicare le proprie tecniche di indagini a tutti gli aspetti dell’esperienza umana, a tutte le manifestazioni della personalità umana. Da dove nasce una pretesa così smisurata?
Esse rappresentano uno sviluppo delle scienze medico-biologiche. La comprensione della struttura e delle funzioni del corpo umano si è sviluppata per oltre 2 secoli, a partire dal 1762 quando venne introdotto il metodo anatomo-clinico, attraverso lo studio delle malattie umane. È infatti più semplice arrivare a conoscere le funzioni fisiologiche normali del corpo umano mediante quelle che appaiono degli esperimenti che la natura opera che sono le malattie. Le lesioni che si producono in una determinata malattia evidenziano per contrasto con la condizione di normalità la funzione colpita dalla malattia.
Così, ad esempio, la coscienza è stata studiata per un secolo attraverso le patologie che la alteravano o l’abolivano. Sono state scoperte le strutture del sistema nervoso centrale che sostengono lo stato di vigilanza, sono state evidenziate le cause che producono confusione mentale con tutta la gamma delle sue manifestazioni, si sono precisati i correlati elettrofisiologici del sonno e anche dei sogni che facciamo, si è scoperto che la coscienza è compromessa solo da cause organiche e mai da patologie psichiche. Ovviamente tutte queste scoperte hanno sottolineato e precisato sempre meglio che tutte le funzioni superiori dell’uomo dipendono strettamente dal cervello: non esiste singolo atto o pensiero o desiderio o sensazione che non implichi una attivazione di neuroni del nostro cervello. Tecniche di infissione di elettrodi {p. 90}in animali da esperimento hanno ampiamente documentato questo per stimoli di ogni genere.
Negli anni Novanta sono state messe a punto una serie di tecniche non invasive che ci consentono di esplorare anche il cervello umano quando il soggetto viene sottoposto a stimolazioni qualsivoglia, attua azioni motorie, contenuti di pensiero, reagisce a condizioni che lo emozionano.
Siamo nel punto in cui l’introduzione e lo sviluppo di neuroimmagini funzionali sempre più sofisticate, delle tecniche di magneto-elettroencefalografia ad alta densità, delle tecniche radio nucleari, dei potenziali evocati evento relati, dell’interfacciamento cervello/computer permetterà finalmente la comprensione completa della coscienza. Almeno così sembra a molti.
Così si esprime Dan Lloyd nell’articolo dal significativo titolo Functional MRI and the Study of Human Consciousness (fMRI e lo studio della coscienza umana): «Per secoli lo studio della coscienza è stato, nel migliore dei casi, indiretto, speculativo e metaforico» [1]
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Gli sviluppi funzionali delle indagini morfologiche tramite risonanza magnetica rappresentano attualmente le indagini di maggiore dettaglio e più dimostrative nell’esplorazione funzionale del sistema nervoso centrale, perché i risultati vengono mostrati come immagini del cervello dove vengono indicate con colori le aree che si attivano per un determinato compito e anche i laici possono apprezzare i risultati.
Eppure, queste immagini sono ricostruzioni numeriche dopo molti calcoli, semplificazioni, correzioni; sono a tutti gli effetti immagini virtuali.

2. Gli apporti della risonanza magnetica funzionale allo studio delle funzioni umane superiori

La risonanza magnetica funzionale offre una modalità di indagine di quanto accade nel cervello umano durante un {p. 91}compito percettivo, motorio, ideativo, immaginativo e così via, come quelli che continuamente compiamo nella nostra vita quotidiana, quelli di cui è fatta la nostra esperienza banale quotidiana.

2.1. Che cos’è la risonanza magnetica funzionale?

La risonanza magnetica funzionale, o fMRI (Functional Magnetic Resonance Imaging), è una tecnica di imaging biomedico che consiste nell’uso dell’imaging a risonanza magnetica per valutare la funzionalità di un organo o un apparato, in maniera complementare all’imaging morfologico. Questa tecnica è in grado di visualizzare la risposta emodinamica (cambiamenti nel contenuto di ossigeno del parenchima e dei capillari) correlata all’attività neuronale del cervello.
L’emoglobina è diamagnetica (indifferente a un campo magnetico) quando ossigenata, ma paramagnetica (attratta da un campo magnetico, analogamente al ferro) quando non ossigenata. Questi differenti segnali possono essere rilevati usando un’appropriata sequenza di impulsi RMN, ad esempio il segnale differenziale Blood Oxygenation Level Dependent (BOLD) (segnale dipendente dal livello di ossigenazione del sangue). Una minore intensità del BOLD deriva da un aumento della concentrazione di emoglobina non ossigenata e viceversa. Mediante analisi con scanner per imaging a risonanza magnetica, è possibile stimare le variazioni del BOLD, che possono risultare di segno positivo o negativo in funzione delle variazioni relative dell’estrazione di ossigeno nella regione cerebrale studiata.
È noto che, dato l’elevato metabolismo del tessuto nervoso cerebrale, esistono meccanismi fini e potenti di regolazione dell’apporto ematico loco-regionale: l’attivazione cerebrale regionale non determina solo maggior estrazione di O2 dal sangue, ma induce netto incremento del flusso ematico regionale. Pertanto, questa tecnica è in grado di misurare in qualche modo le variazioni regionali del flusso sanguigno, che sono a loro volta espressione del grado di attivazione neuronale di quell’area.{p. 92}
La misura del segnale BOLD viene ottenuta in un determinato volume di tessuto cerebrale le cui dimensioni determinano la capacità risolutiva della metodica. Tale volume viene chiamato voxel, dipende dalla forza del campo magnetico e dallo spessore delle fette esaminate ed è compreso tra 0,5 e 4-5 mm3. I voxel più grossi comprendono milioni di neuroni.
La corretta relazione tra segnali neurali, metabolismo cerebrale e flusso sanguigno regionale rilevato dal BOLD è ancora oggetto di ricerca ed è importante ricordare che i parametri misurati con tecnica fMRI sono solo indirettamente e in modo complesso correlati con l’attivazione neuronale regionale. Inoltre, il volume di tessuto cerebrale che viene studiato contiene milioni di neuroni o loro assoni, che vengono indagati come un’unità funzionale, mentre la complessità circuitale di quel volume tissutale è enorme.
L’fMRI è stata oggetto di molte critiche sia teoriche sia circa le modalità di applicazione e di interpretazione dei risultati. Occorre pertanto ricordare con chiarezza che ciò che si va a misurare sono variazioni di flusso ematico regionale e di estrazione dell’ossigeno da parte del tessuto solo indirettamente correlate all’attività neuronale, molto più variegata e complessa; che ciò che si rileva in modo alquanto indiretto è e resta un correlato elettrofisiologico e metabolico della particolare attività umana in esame in quel particolare soggetto, in quel determinato momento e in quel particolare setting sperimentale o comunque situazionale. Arguire come fanno molti che quanto rileviamo è la causa efficiente dell’attività umana in studio è pura speculazione determinata da un’idea preconcetta circa il soggetto umano.

2.2. fMRI e connettività funzionale nello stato di riposo

Gli studi con fMRI sono stati dedicati soprattutto, specie nella fase iniziale, a delineare quali aree cerebrali corticali e sottocorticali si attivassero quando il soggetto in esame compiva e ripeteva una determinata azione, formulava un certo contenuto di pensiero, riceveva un determinato {p. 93}stimolo attraverso uno o più canali sensoriali. Si sono così potute confermare le localizzazioni di funzioni cerebrali che la neurologia aveva determinato con lo studio delle varie patologie e lesioni cerebrali ed estendere l’applicazione a una miriade di azioni/pensieri/percezioni. Nella maggior parte dei casi le aree coinvolte sono numerose e variegate e con discreta variabilità interindividuale.
Si sono poi delineate le condizioni cerebrali come appaiono all’esame fMRI quando il soggetto è in una condizione di riposo, di minima stimolazione. Tale condizione è ben nota dagli studi con elettroencefalografia (EEG) ed è diventata una delle condizioni più importante in cui viene esaminato un tracciato elettroencefalografico richiesto per motivi clinici: si studia, infatti, la frequenza dei ritmi cerebrali sulle regioni posteriori in tale condizione di minimo stimolo con occhi chiusi e successivamente si esamina la reazione di arresto del ritmo posteriore all’apertura degli occhi.
Analogamente agli studi con EEG si è pertanto potuto delineare la cosiddetta connettività cerebrale funzionale nello stato di riposo, come rilevata dalla fMRI. Diverse tecniche sono usate per studiare i parametri che caratterizzano la connettività funzionale nello stato di riposo, ma non abbiamo qui lo spazio per analizzarle. Rimandiamo per un’analisi di esse all’articolo Resting-state Brain Networks: Literature Review and Clinical Applications di C. Rosazza e L. Minati [2]
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Riprendiamo, dopo questa carrellata un poco tecnica, ma necessaria per comprendere i risultati di questi studi, la domanda iniziale posta nell’introduzione: «Le neuroscienze hanno la pretesa di applicare le proprie tecniche di indagini a tutti gli aspetti dell’esperienza umana, a tutte le manifestazioni della personalità umana. Da dove nasce una pretesa così smisurata?». La fMRI si pone come una tecnica che è in grado di offrire misure di parametri oggettivi correlati con le funzioni cerebrali, cioè si pone come una misura oggettiva, idealmente che prescinde dalla soggettività. Fino
{p. 94}ad ora ci si era comunque affidati a resoconti dei soggetti, come tali non oggettivi e quindi non affidabili. Per la prima volta, sembrano sostenere le neuroscienze, abbiamo una conoscenza oggettiva delle funzioni cerebrali.
Note
[1] D. Lloyd, Functional MRI and the Study of Human Consciousness, in «Journal of Cognitive Neuroscience», 14, 6, 2002, pp. 818-831.
[2] C. Rosazza e L. Minati, Resting-state Brain Networks: Literature Review and Clinical Applications, in «Neurological Science», 32, 2011, pp. 773-785.